Alberto Burri
Nel periodo in cui la pittura aveva raggiunto le più alte vette della tecnica nella rappresentazione dellla natura, gli artisti non seppero più che cazzo inventarsi. Proprio durante questo periodo decadente crebbe Alberto Burri. Dopo una insignificante gioventù tra i balilla, Burri si arruolò come ufficiale medico durante la seconda guerra mondiale poiché era l'unico modo per sfruttare la propria laurea. Fu catturato dagli americani divenendo uno dei pochi imbecilli a finire in un campo di concentramento pur non essendo ebreo, nero, partigiano o gay. Fu proprio durante il periodo di prigionia che Burri iniziò a "dipingere". Per tale motivo fu lestamente rilasciato, ma ormai era troppo tardi. Futurismo, astrattismo, sacchismo, sacchettismo, bucherellismo, combustismo, neo-vandalismo e terrasecchismo sono solo alcune delle dimensioni artistiche esplorate o addirittura partorite da questo grande protagonista del '900[citazione necessaria].
I sacchi
Burri, annoiato dai monotoni giorni di prigionia, era da tempo in cerca di un diversivo. Fu così che, dopo una profonda analisi del vuoto che sentiva pulsare dentro e attorno a sé, bruciato da un intenso desiderio di esprimersi donando nuova forma alla materia, decise di farsi crescere i baffi. Dopo che ebbe portato a compimento la sua prima opera Burri si dedicò anima e corpo alla progettazione di una imponente "banana" alla Fonzarelli per adornare il suo capo. La metamorfosi era completa.
Un ufficiale americano, vedendolo trafficare davanti allo specchio con phon e forbicette tutto il santo giorno gli affidò un incarico: rammendare i sacchi di patate bucati. Ce n'erano montagne nel campo di concentramento. Almeno erano di tela anche se un po' grezza, ma chi se ne importava? Mica ci doveva dipingere, li doveva solo rattoppare, quello era il compito assegnatogli, ma siccome sapeva cucire a cazzo di cane ne risultavano strani agglomerati che da lontano potevano essere scambiate per qualcos'altro a fantasia. Fu così che qualche idiota, come sovente accade, le scambiò per opere d'arte.
Finita la guerra Burri fu liberato dal campo di concentramento in Texas assieme ai camerati Galeazzo Musolesi e Giuseppe Berto, dal quale Burri imparò l'arte del fallimento. Spiazzato dall'assenza di sacchi bucati in città, ove erano tutti nuovi e integri di pura juta, ma conscio di non avere televisori da suggellare per non pagare il canone, essendo di fatto ancora in America, decise di bucarli. Burri espose i suoi sacchi bucati in una galleria di Chicago, e dove sennò? Ebbero un notevole successo. I visitatori li riempirono di avanzi, pezzi di tartine e bignè del rinfresco. In quei giorni Burri mangiò a scrocco nonostante avesse perso la metà del carico a causa dei buchi. Con queste opere Burri tocca le vette del massimo espressivismo e del riciclismo.
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Autoritratto. Tela di sacco su sacco di tela... su sacco di juta
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Non dir gatto.... Sigaro cubano acceso su sacco di juta.
I sacchetti
Burri, tornato in Italia come affermato artista, prese l'ardita decisione di passare a materiali più impegnativi. Scelse i sacchetti di plastica. Li bucò col fuoco, e li stropicciò tutti. Tale fu la genesi di un intero filone narrativo che fu a posteriori chiamato Buchi del culo spannati con evidenti prolassi emorroidali cronici. Con questa critica spietata al consumismo Burri richiama plasticamente le reminiscenze mediche trasmutando la purezza dell'afflato cosmico in materia pulsante, regalandole il ruolo di protagonista e contesto; e molte altre frasi pompose ma prive di significato.
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Buco del culo sfondato con grave prolasso intestinale. Cannello al plasma su sacchetto di plastica su sacco
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Ulcera anale multipla e gangrenosa con sfrangiamento diffuso della parete intestinale. Scoreggia infuocata su sacchetto di plastica su sacco di juta carbonizzato.
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...se non l'hai nel sacchetto. Gatto su sacchetto di plastica... O forse di juta.
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Variazioni sul tema. Impermeabile in tela cerata su stufa in ghisa accesa con sacchi di juta.
I gretti
Al culmine della sua carriera, non ancora pago delle vette raggiunte, volle dare ancora segno della sua genialità realizzando una serie di opere tutte uguali ma di diverso colore e dimensioni. L'ispirazione gli venne osservando alcune zolle di terra spaccate dal sole che gli ricordavano molto un quadro a olio che era pieno di crepe provocate dalla sua incapacità di diluire i colori. Siccome era da realizzarsi in ceramica e lui non era capace, le fece fare tutte a un suo amico. Nacquero così le colossali zolle di terra secca spaccata dal sole. Per realizzarle l'astuto Burri componeva grandi zolle di terra e le faceva spaccare dal sole, le pitturava, poi le portava all'amico con l'altoforno che le rendeva immortali opere d'arte. Di seguito le opere venivano vendute come muretti o recinzioni a prezzi smodati. Proprio durante il periodo land-art gli venne commissionata un'opera per commemorare Gibellina, una città rasa al suolo dal un terremoto. Burri, folgorato dalla solita idea del cazzo, fece ricoprire l'intera area con una colata di cemento. Il cemento col tempo e il sole si spaccò. Qualcuno se ne accorse. Burri cercò di rappezzarla battezzando l'opera Sudario di cemento. I più abboccarono.
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Vista una viste tutte. Sole su terra
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Come rovinare un panorama per l'eternità (ovvero: Sudario di cemento). Cemento su Gibellina.
Perché, perché lo hai fatto?
La fine
Burri morì per avvelenamento da monossido di carbonio e asfissia mentre cercava di dare fuoco a un sacchetto della Coop dentro un sacco di juta in cui si era infilato in cerca di nuove idee geniali.
Curiosità
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- Burri fabbricava i pennelli con le setole dei suoi baffi
- Burri non usava mai un pennello
- Se non per spalmarsi la schiuma da barba