Arpia

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Le arpie sono così ributtanti che neanche un roito come Bruno Arena se le accollerebbe come fidanzate.
« Quell'arpia di mia suocera! »
(Parole pronunciate almeno una volta nella vita da ogni essere umano della specie Homo ammogliatus)

L'arpia (Chickenlittol tumoralis Coso, quello col ciuffo a virgola, 2011) è una creatura pseudo-mitologica appartenente alla classe dei rettili per adozione. Quando si è trattato di collocarla, infatti, a Linneo pareva di fare un torto a qualcuno: ai mammiferi aveva già appioppato quello sgorbio pelato dell'eterocefalo glabro; gli uccelli sono già sfigati per definizione per via della loro associazione al pene umano; tra i pesci trionfa la merdona di mare, che non ha bisogno di ulteriori approfondimenti. A chi, dunque, affibiare questi rutti della natura?

« Cioè, cioè... Io avrei ceduto il posto a quegli affari lì?!?! »
(Il fu T-Rex sulle arpie)

Descrizione

Secondo la leggenda l'arpia è una creatura dal corpo piumato e dalla testa di donna. Si suppone abbia un piccolo cervello nella porzione dorso-sacrale della spina dorsale, proprio come gli stegosauri.

Quando Dio creò l'arpia non s'accorse che, per la fretta, aveva commesso un errore di battitura. Fu costretto a rimediare a posteri.

Questo micro-encefalo dovrebbe aiutare il cervello principale a regolare i movimenti del treno posteriore. In realtà non ho mai parlato di un cervello principale[frecciatina maschilista necessaria]...
Si ipotizzava inoltre, fino a pochi anni fa, che l'arpia avesse come arma di offesa dei potenti artigli, aguzzi, ricurvi, laceranti. Recenti studi hanno invece confermato la presenza di unghie delicate e sovente smaltate, in quanto l'arpia, per l'aspetto rizzacapelli e la simpatia di un ascesso scrotale, è l'antenato più prossimo della donna borghese.

Odi

Le arpie sono citate nientepopodimeno che nell'Odissea di Omero, nell'Eneide, in una giustificazione di Dante Alighieri per un ritardo a scuola e in un bigliettino del Bacio Perugina comprato da un tizio in un bar di Trieste.
Degni di nota i versi a lei dedicati nelle Argonautiche, dove le arpie si fanno le beffe del re cieco Fineo mettendogli nel bicchierino dell'elemosina monetine da 500 lire non più convertibili e scrivendo sul suo cartello a caratteri cubitali, al posto di "FATE LA CARITÀ", "TIFATE BOGOTÀ!!!".

Inevitabile smorfia data dalla pronuncia della parola "arpia":
1) Solchi interno-guanciali alla Perry Mason;
2) Labbro retratto;
3) Fossetta modello "smile".

Altro

"Arpia" è una parola che mal si presta anche solo alla semplice pronuncia: il suo proferimento provoca infatti delle contrazioni involontarie sulla porzione superiore della bocca e quella inferiore del naso, più o meno come quando si assaggia per la prima volta la zuppa di sputo di volatile[1]. Forse per questo il termine "arpia" è oggi associato a una persona di sesso femminile brutta, scassapalle e ignorante come un'arpia.

Curiosità

Note

  1. ^ Codesta è una prelibatezza orientale i cui ingredienti sono ancora segreti.