Battaglia di Caporetto
La battaglia di Caporetto (detta anche dodicesima battaglia dell'Isonzo, in onore del noto fiume, o dodicesima battaglia dello Stronzo, in onore del noto generale Luigi Cadorna) è l'ennesima dimostrazione del fatto che l'esercito italiano dovrebbe lasciar fare la guerra a qualcuno che almeno sappia da che parte si imbraccia un fucile.
Location
Durante la prima guerra mondiale Caporetto, una ridente località slovena ricca di verde, corsi d'acqua e aria sana, fu teatro di un'accesa disputa tra due pattuglie scout, una italiana e l'altra austroungarica-tedesca. Ciascuna pattuglia rivendicava Caporetto come proprio territorio esclusivo e non voleva cederla ai rivali.
Il faticoso conciliabolo, il prolungato digiuno, il forte sole di mezzogiorno e la grappa di contrabbando che gli scout bevevano avidamente per passare il tempo ebbero come unico effetto quello di inasprire i toni ed esacerbare gli animi dei presenti. Da ambo le parti volarono parole grosse e riferimenti poco galanti alle professioni delle rispettive madri e sorelle. Quando dalle fila austriache una voce disse che la Duse era una gran maiala fu chiaro a tutti che anche volendo non era più possibile spartirsi lo spiazzo erboso per un tranquillo picnic: era cominciata la guerra.
Durata
La battaglia durò dal 24 ottobre al 19 novembre 1917, con la sola eccezione del 4 novembre, che era domenica; gli austroungarici usarono la pausa per andare a messa, lavarsi e giocare a tombola, gli italiani ne approfittarono per ricaricare le loro pistole ad acqua.
Lo scontro
L'esercito austroungarico era guidato dall'astuto Otto von Below e da Erwin Rommel, la futura Volpe del deserto. Quello italiano era comandato dal già citato Cadorna e dai comandanti d'armata Luigi Capello, uno che perdeva giocando a scacchi da solo, Alberto Cavaciocchi, famoso perché quand'era stressato prendeva a testate i muri, e Luigi Bongiovanni, il quale era divenuto comandante per essere il cugino del nonno dell'amante di Cadorna. Menzione particolare per il generale Pietro Badoglio, divenuto poi il vice di Armando Diaz[1], per i meriti conseguiti in questa battaglia o forse per essere uno dei pochi sopravvissuti.
Le truppe italiane vennero inviate in avanti, con l'intento di sfondare le linee nemiche e ottenere una vittoria schiacciante. Agli austroungarici, che erano fuori casa, bastava un pareggio. L'avanzata italiana si interruppe sotto un fitto lancio di crauti sott'aceto. Cadorna ordinò allora di attaccare in stile scagnozzo da film d'azione: in fila indiana e uno alla volta. I fucilieri austriaci, che non avevano neanche da prendere la mira, con una mano sparavano e con l'altra si fumavano una sigaretta.
La prima linea italiana era distrutta, la seconda linea era sguarnita e malandata, i battaglioni di Cavaciocchi erano distanti chilometri perché avevano letto la cartina al contrario, l'artiglieria italiana era fuori uso e l'unica arma da lanciare erano le gavette di minestra, che tra l'altro si rivelarono molto più letali di qualunque gas tossico.
In un ultimo disperato tentativo di resistenza vennero chiamati a rinsaldare le fila italiane i "ragazzi del '99". Per tutta risposta gli austroungarici chiamarono I ragazzi del Sole, che con la loro musica beat seminarono panico e distruzione nell'esercito italiano.
La situazione era tragica. Proprio in quel frangente Cadorna stupì tutti con una mossa imprevedibile: scappò strappandosi i capelli e urlando come il bambino di Mamma, ho perso l'aereo. I suoi soldati, credendo che fosse una raffinata tecnica bellica, lo imitarono.
Fu il segnale della definitiva sconfitta: soldati e civili si ritirarono sul Piave, portandosi dietro i pochi averi e chiamando a gran voce la mammina. Gli invasori si lasciarono andare a un'ordalia di razzie e violenze gratuite di una ferocia così inaudita da diventare fonte d'ispirazione per tutti i reality show di successo.
I numeri
Con un bilancio di 12.000 morti e 30.000 feriti, Caporetto resta ancor oggi la seconda peggior carneficina di soldati italiani di tutti i tempi; la prima è un concerto di Natale che Marco Masini tenne nel 2003 in onore alle truppe in missione in Afghanistan.
I motivi della disfatta
Lo sfondamento di Caporetto fu dovuto a una curiosa serie di fattori, quali:
Mancanza di motivazioni
La maggior parte dei soldati combatteva di malavoglia e distrattamente: non vedevano l'ora di tornare a casa per guardare Lascia o Raddoppia. Alcuni si spararono apposta in un piede nella speranza di venir rispediti a casa, ma la smisero perché Cadorna era inflessibile con gli autolesionisti: sparava loro nel piede sano e poi li spediva in prima linea.
Errori tattici
Cadorna era un generale della vecchia scuola, di quelli che sanno dire quattro parole: Sì, No, Fame e Attacchiamo frontalmente[2]. L'idea di ricorrere ad altri tipi di soluzioni offensive o di difendere la posizione non arrivò mai a sfiorare il suo cervello, che peraltro una recente autopsia ha scoperto essere un secondo pancreas mal funzionante.
Difficoltà di approvvigionamento
I rifornimenti erano male organizzati: il reparto artiglieria, che aveva urgente bisogno di nuove munizioni, si vide recapitare uno stock di Timberland, spaiate oltretutto. Per un po' tirarono avanti lanciando miniciccioli e mimando i rumori delle granate con la bocca.
Per non parlare di tutti quei battaglioni che avevano finito i buoni-mensa: molti soldati, ridotti allo stremo delle forze per la scarsa alimentazione, si ridussero a mangiarsi i pidocchi a vicenda, dei quali invece erano ben riforniti.
Inquietanti voci circolavano poi sulla qualità del fucile italiano, il mitico Carcano-Mannlicher mod. 1891 [3], noto come Il moscio oppure come L'inceppone negli ambienti dei postriboli militari. Secondo il giudizio di Cadorna, infatti, il fucile "nient'altro è che il supporto per la sciabola-baionetta, colei che ci farà vincere la guerra[citazione necessaria]" e quindi non riteneva necessario far circolare fra i soldati la cattiva abitudine di sparare, che toglieva gran parte del fascino medievale alle battaglie.
Mancanza di linee telefoniche
In realtà c'erano, ma fu Cadorna a farle saltare in aria per sbaglio con un colpo di cannone. Si giustificò dicendo: "Fame".
Il telegrafo era di scarsa efficacia in quanto l'addetto alle comunicazioni soffriva del morbo di Parkinson.
Provarono allora a comunicare tra i vari reparti tramite segnali di fumo, ma i gas sprigionati dai bombardamenti nemici crearono interferenze nei segnali. Voci di trincea narrano anche di un problema di meteorismo diffuso tra le linee italiane, che resero impossibile il lavoro dei telefonisti[4].
Già dopo due ore dall'inizio dell'offesa nemica il comandante Badoglio era isolato nel suo comando. Decise allora di impartire gli ordini di contrattacco mediante l'utilizzo di e-mail, mai giunte a destinazione a causa delle disfunzioni dei server di Hotmail.
Difficoltà di comunicazione
I gradi più alti dell'esercito parlavano l'italiano dell'Accademia della Crusca, i soldati semplici parlavano dialetto o al massimo comunicavano a grugniti. Fu per questo che quando venne ordinato alle truppe di attaccare sul fronte occidentale i fanti si diressero compatti verso sud. Quando si accorsero che a sud c'era uno strapiombo si erano già sfracellati tutti.
Sfiducia nei superiori
I generali mandavano i soldati all'assalto all'arma bianca, dopodiché osservavano il proseguo dell'azione comodamente sdraiati su un'amaca al sicuro in trincea. Tra un cocktail e l'altro mandavano alle truppe qualche SMS con scritto: Bene così o Tu in fondo, spostati che mi intralci la visuale.
Mancanza di rinforzi adeguati
Le truppe di rincalzo erano troppo lontane dal fronte. Pietro Badoglio, comandante della retroguardia, capì che il fronte era crollato e che le truppe nemiche stavano avanzando solo quando sentì suonare il campanello, andò ad aprire la porta e si trovò davanti gli austriaci col mitra spianato.
Richiuse la porta e si salvò.
Bibliografia
- A. Moroni, Caporetto e altre ricette di pasticci militari
- P. Badoglio, Nella merda fino al collo
- O. Connelly, Caporetto - An Italian Bullshit
- E. Hemingway, Addio alla Sbarbi
- S. Prestigiacomo, Perché la disfatta di Caporetto è colpa del governo precedente
Note
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