Bombardino

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Il bombardino è una bevanda leggerm alcolica, solitamente composta da panna, zabajone caldo, brandy e polvere pirica (in alternativa caffè). La ricetta varia a seconda della zona, della temperatura esterna e di quanto stai antipatico al barista.

« Con questo freddo un bombardino ci voleva proprio, però l'ha fatto troppo leggero quel tirchio del barista. »
(Piermatteo Zigulin, occasionale avventore alla Baita degli Alpini.)
« Prendiamo la rossa, sulla pista blu ci sono troppi licaoni che giocano a cricket. »
(Piermatteo Zigulin dieci minuti dopo.)

Secondo i bene informati nasce in Longobardia, precisamente presso la baita del Mottolino a Livigno (SO). Questo ci sentiamo di confermarlo, sia per la presenza di alcuni graffiti presenti nei dintorni (troppo confusi per essere stati fatti da sobri), sia per la generosa donazione fatta dal gestore del rifugio. Oggi è venduto nelle baite e sulle piste da sci di molte rinomate località sciistiche, in tutta Italia.
Il suo nome deriva dalla dirompente vampata di calore che segue l'ingerimento della sostanza, reazione dovuta alla temperatura con cui viene servito, alla non trascurabile gradazione alcolica e alla puntuale allucinazione con Lindsay Lohan che slinguazza Paris Hilton. Gli effetti completi sull'organismo non sono stati del tutto accertati, perché chi lo beve è probabile che finisca prima fuori pista e poi in un crepaccio.
Ne esistono alcune varianti, sempre a base di zabajone caldo:

Il bombardino appartiene alla categoria dei cocktail, a quella delle sostanze dopanti, e figura tra quelle sconsigliate prima di guidare una bisarca. Lo potremmo definire la versione italiana dell'Irish coffee, con un aspetto meno triste.

Origine

Famoso spot del bombardino.
« Co 'l cima tira el bianchin, lassa la dona e tiente al bombardin. »
(Quando la cima comincia ad imbiancare, lascia la donna e datti al bombardino. (Alta Badia))
« Quanche le fònne le ciapa l'bumbardin, l'è segn che völ pecàr ün pùin. »
(Quando le donne prendono un bombardino è segno che vogliono peccare leggermente. (Valle Camonica))

La leggenda narra di un genovese trapiantato a Sondrio per ragioni che ci interessano marginalmente, ma che ci piacerebbe comunque conoscere perché la sete di conoscenza è la principale molla che anima la maggior parte degli uomini. Durante la guerra era addetto ai mortai presso il 141° Battaglione "Col Carso" degli Alpini, cosa che in qualche modo gli tornerà utile in seguito. Congedatosi da ufficiale, ottiene in gestione il rifugio del Mottolino a Livigno, a 2400 metri s.l.m., una landa desolata sferzata da un vento che, nelle giornate di bonaccia, sfiora i 140 km/h. Al suo arrivo, le uniche forme di vita presenti sul posto sono i bucaneve[1] e il cugino svizzero dello Yeti, col quale ha un acceso diverbio (per questioni di confine) risolto velocemente a colpi di baionetta.
Una vita di solitudine, permeata da profonde riflessioni filosofiche e sporadiche visite al casino[2] "Madame Coquette" a St. Moritz. È in quel luogo che incontra per la prima volta lo zabajone, insostituibile rimedio per riassumere la posizione eretta dopo un pomeriggio trascorso con due mignotte.
Nel 1969, durante la Fiera Campionaria delle Vacche a Costa Volpino (BG), conosce la sua futura moglie[3]. La donna è figlia di commercianti, il fiuto per gli affari non le manca e pensa immediatamente: "Livigno=meno tasse". Dopo averlo sposato lo convince ad ampliare il rifugio, portandolo dai 30 agli attuali 600 metri quadri dopo aver raso al suolo a colpi di mortaio Cima Gigogin.

Il bombardino e lo speciale imbuto per travasarlo, chiamato allo stesso modo.

Durante la stagione invernale del 1975, in cui le temperature scesero talmente tanto che gli sciatori in settimana bianca venivano dichiarati mentalmente instabili, alcuni di essi giunsero al rifugio nel corso della quotidiana tormenta delle 16:20. Per scongiurare una possibile chiusura dell'attività, dovuta alle inevitabili indagini in caso di cadaveri al suo interno, il genovese iniziò a mischiare alcolici e sostanze ipercaloriche e, dopo averle portate alla temperatura di fusione del tungsteno, le somministrò ai semi-ibernati. La disciplina militare gli aveva insegnato ad essere metodico, quindi prese rigorosi appunti sia della composizione dell'intruglio che dei suoi effetti.

  • Mistura A: amaro Carocchio, zucchero di canna, frullato di sambeneddu e peperonata. Il soggetto è un commercialista torinese di circa 40 anni, longilineo. Appare tranquillo per circa due minuti, poi si arrampica sul bancone e contesta apertamente le tattiche militari usate durante la Battaglia di Prata Porci del XII secolo. In particolare, insulta pesantemente un turista tedesco credendolo Federico Barbarossa e lo colpisce con una piccozza.
  • Mistura B: Nesquik, strutto, Unicum e bacche di ginepro. Manovale di Cosenza, in apparenza cinquantenne, piuttosto corpulento. Dopo due minuti è in grado di leggere il menu del locale, in tutte e sei le lingue. Si intrattiene in una avvincente disquisizione filosofica sull'Aneddoto dei frantoi di Talete con una poiana impagliata, subito dopo la defenestra per l'irritante disapprovazione espressa dai suoi occhi.
  • Mistura C: omogeneizzato di capriolo, strudel, nocino e sciroppo di lampone. Il soggetto è una donna, tra i 20 e i 25 anni, altezza media e un culo fav. In apparenza sembra normale, forse leggermente euforica, rassicura i presenti sul suo stato di salute e poi compie un gesto insensato, addirittura inconcepibile per una femmina, da fuoco alle sue scarpe col fornello della cassoeûla.
  • Mistura D: latte, zabajone, whisky e caffè. Il soggetto è un adolescente della provincia di Trapani, di figura esile e con vistosi occhiali da miope. Dall'iniziale funereo pallore, dopo l'assunzione, il suo viso assume tutte le sfumature del rosso, compreso il porpora fenicio. Gli occhi sono sbarrati, come in presenza di un'apparizione mariana o del manifestarsi di Belfagor. Solleva agevolmente il tavolo in quercia al centro della sala, lo scaraventa in un angolo e inizia a fare il Moonwalk mentre canticchia Bongo Bongo Bongo. Poi si blocca improvvisamente ed esclama: "Minchia! È una bombarda!".

Il genovese non se lo fece ripetere due volte e lo chiamò Bombardino, scegliendo proprio la mistura D, senza tenere conto minimamente del parere degli astanti (quasi tutti maschi) che avrebbero preferito la C.

Effetti collaterali segnalati

Note

  1. ^ non ci riferiamo ai biscotti e nemmeno a chi si spara la cocaina in vena
  2. ^ no, in questo caso l'accento non serve
  3. ^ e con questo non vogliamo insinuare nulla

Voci correlate