Corriere della Sera

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   La stessa cosa ma di più: Corriere della Sega.
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Il Corriere della Sera è uno quotidiano italiano così vecchio che pur avendo una versione online non è capace di usarla. Risulta essere il primo quotidiano in Italia per numero di lettori: dei 7 italiani che ancora leggono giornali, ben 5 comprano il Corriere quando gli serve di cambiare 50 euro e si vergognano di chiedere. Il suo slogan è "La libertà delle idee", ma solo perché "La verità è opinabile" suonava male.

Storia

Le origini

La sede del giornale e tipografia annessa venne aperta nella prestigiosa Galleria Vittorio Emanuele II; per pagare l'ingente affitto i fondatori non potettero assumere nessun giornalista né nessun tecnico o operaio, quindi decisero di pubblicare notizie totalmente inventate puntando all'analfabetismo allora molto diffuso, e di scrivere il giornale a mano imitando i caratteri tipografici meglio che potessero. Il primo numero esce nel 1876 e consta di 15.000 pagine, stampate in 4 copie. Quando si accorgono che qualche idiota ha invertito i numeri è troppo tardi, ma rimedieranno col numero successivo, che sarà "stampato" in 15.000 copie di 4 pagine; tutte illeggibili, dato che era analfabeta anche il caporedattore.

Il primo numero recava in prima pagina un'accorata lettera del direttore:

Al Pubblico
Pubblico, vogliamo parlarti chiaro. Da quando il giornalismo ebbe a nascere tu, pubblico, ti abituasti a essere preso pe' fondelli la notte e il dì. Ebbene, pubblico, noi non abbiamo desiderio di deluderti nelle tue aspettative, e veniamo a parlarti chiaro: noi siamo monarchici, conservatori, liberali, antipapisti, moderati, progressisti e governativi. Domani saremo repubblicani, liberisti, clericali, antiqualunquisti e governativi. Domani l'altro... ma stai ancora leggendo, o pubblico?

La svolta si verifica solo 2 anni dopo quando a re Vittorio Emanuele II piglia un provvidenziale coccolone e al proprietario del Corriere viene l'idea del secolo: continuare a pubblicare fuffa sulla morte del re a tempo indeterminato. Destò polemica la scelta di pubblicare il testamento del re[1], ma ciò contribuì a far vendere ancor più copie.

In breve tempo il Corriere acquisì una fama notevole, diventando, nonostante il taglio borghese, il quotidiano più diffuso nella classe lavoratrice italiana, in particolare tra muratori e imbianchini, che dalle pagine del giornale ricavavano preziosi cappelli di carta. Tale primato fu soffiato nel 1896 dalla più duttile Gazzetta dello Sport, la cui carta rosa poteva essere facilmente riciclata anche per la realizzazione di patenti di guida contraffatte.

La fiera indipendenza giornalistica è sempre stato un tratto distintivo del Corriere.

Il Corriere durante l'Invincibile Impero Fascist... ehm... il "ventennio"

Già durante i conflitti che fecero da preludio alla prima e seconda guerra mondiale il Corriere mostrava una spiccata attitudine a dare sempre ragione a chi non conveniva dare torto, passando quindi agilmente da prime pagine cautamente attendiste a titoli tipo "Morte ai porci libici!" a seconda di come giravano le palle a Giolitti.

Nel 1922 prende il potere il Partito Nazionale Fascista e inizia subito a mostrare insofferenza per tanta indipendenza politica. Alla richiesta di Benito Mussolini di far scrivere i titoli a qualcuno di più competente, tipo lui stesso, il direttore Luigi Albertini risponde con una pernacchia tuttora registrata nel Guinness dei primati. Mussolini la prende benissimo e in breve dimentica l'accaduto. Nei 3 anni successivi il giornale è vittima di ogni genere di incidente fortuito, che alla fine convincono il direttore a cedere tutte le sue quote societarie al primo che passa e a trascorrere il resto dei suoi giorni come barista alla bouvette di Montecitorio.

Gli succedono alcuni direttori presi all'agenzia interinale finché nel 1928 arriva finalmente Aldo Borelli da L'Anazione di Firenze, dov'era già noto per le sue radicali posizioni riguardo la risoluzione dei conflitti etnici; emblematico il primo titolo del Corriere dopo il suo ingresso: "Gli ebrei: ammazziamoli tutti o prima torturiamoli?". Durante la sua direzione il Corriere diede ampio spazio alla cultura, al cinema, a giovani e promettenti firme come quelle di Dino Buzzati e Indro Montanelli; avrebbe dato spazio anche ai misfatti del regime fascista se solo fosse rimasto dello spazio sul giornale, ma questo avrebbe sacrificato la rubrica L'uncinetto di nonna Geppa e ciò sarebbe stato disdicevole.

Nel 1943 uno scherzo del destino cinico e baro porta il Corriere a doversi adeguare ai tempi con la consueta coerenza editoriale, vedendo l'ingresso come direttore di Ettore Janni, un partigiano comunista della Brigata Sventrafasci noto per il vezzo di tenere un repubblichino steso nel bagno di casa sua a mo' di tappetino acchiappa-piscia.

La conversione è completa. Il Corriere è sempre stato anti-fascista. La faccia da culo è coerenza.

Dal dopo-guerra alle zampe d'elefante

Nel 1945 il nuovo direttore Mario Borsa esordisce con un coraggioso editoriale intitolato "Ah ah, ci siete cascati" in cui rivela che i precedenti 20 anni di sudditanza al regime fascista erano solo una burla. Anzi, non sono mai avvenuti. Questo giornale si autodistruggerà fra 10 secondi.

Negli anni '50 il Corriere continua a crescere nelle vendite anche grazie ai contributi di intellettuali come Dino Buzzati, Eugenio Montale, Indro Montanelli e Ennio Flaiano, che successivamente se ne vergogneranno moltissimo. Montale in particolare insistette fino sul letto di morte di non aver mai pubblicato nulla sul Corriere, preferendogli Penthouse.

Negli anni '60 comincia a girare la droga e la musica dei drogati. Ma questo col Corriere non c'entra nulla.
Per contrastare la crescente concorrenza de Il Giorno e di Oggi, che conquistano miriadi di lettori pubblicando in prima pagina fotomontaggi in cui si vedono capi di stato e dignitari vari impegnati in sessioni di sesso anale (forse la droga qualcosa c'entrava, in effetti), il nuovo direttore attua un rinnovamento arricchendo il giornale di rubriche frivole, titoli acchiappa-fessi, paginoni con le fotone, lettere al direttore (che si scriveva da sé per far prima), e quel cazzo di sudoku. Nel 1963 lancia una campagna per aiutare le vittime del disastro del Vajont tramite SMS dona 2 euro ma non ti vergogni ad andare in giro con quel braccino corto ecc. Campagna mai decollata a causa della scandalosamente tardiva invenzione del telefono cellulare.
È in questo periodo che il Corriere inizia i reportage dall'estero, mandando suoi reporter in Grecia durante il golpe dei colonnelli e in Vietnam durante l'omonima guerra, come punizione per aver scoreggiato in ascensore. Una pratica che ridusse le scorregge in ascensore del 98%.
Nel 1968 diventa direttore Giovanni Spadolini, quando era ancora abbastanza magro da passare per la porta. Giovane[2] e dinamico, esordisce col famoso editoriale "Osservare una mela sbucciata mentre annerisce" in cui celebra la virtù della noia borghese e del diventare ciccioni per passare il tempo. L'editoriale, di cui tutt'oggi nessuno può affermare di aver completato la lettura senza svenire, è universalmente accettato dagli storici come causa scatenante della contestazione studentesca.
Durante l'Autunno caldo del 1969, la strage di piazza Fontana del 1970 e la manifestazione Miss Maglietta Bagnata Castiglione della Pescaia 1971, il quotidiano si contraddistingue per la consueta neutralità, prendendo le distanze dal dibattito politico. Anche se la Giusy con la sua sbarazzina quarta meritava di vincere ma invece no per colpa dei soliti anarchici.
Nel 1972 Spadolini, prima volta nella storia del giornale, viene licenziato anzitempo dai proprietari. Molte teorie circolano sui veri motivi, fra cui quello di sostituirlo con Montanelli, ma quella più accreditata sostenne che non entrava più per la porta nel suo tentativo di conquistare il mondo inglobandolo fisicamente[3], e che i proprietari furono costretti a metterlo alla porta defenestrarlo insomma, ci siamo capiti.

Note

  1. ^ «mi sono mangiato tutto, rosicate»
  2. ^ 43 anni portati orribilmente
  3. ^ «una volta lo vidi divorare un fattorino in un sol boccone», Indro Montanelli, 1972