Eneide

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« Sono il pio Enea, noto per fama oltre i cieli, e con la flotta mi porto appresso i Penati scampati al nemico. Cerco la patria Italia e gli avi miei, nati dal sommo Giove. »
(Enea, durante un provino, alla domanda: "Perché il Grande Fratello dovrebbe prenderti?")
« Essere clementi verso i sottomessi e distruggere i superbi. »
(Anchise spiega al figlio Enea i compiti dei moderatori dei forum)
« Dopo quello che ha scritto, non mi ha sorpreso trovarlo là sotto! »
(Dante Alighieri su Virgilio e la sua produzione letteraria)
« Enea sono tuo padre! »
(Anchise, con afflato asmatico, al figlio Enea)
« Vecchio rincoglionito alla sua età fare ancora battute su StarWars. »
(Enea che borbotta in risposta al padre)
« Bruciatela! »
(Virgilio sull'Eneide (vero))

L'Eneide è un tema in latino che un certo Publio Virgilio Marone, alunno della scuola media Publio Virgilio Marone di Mantova, scrisse nell'anno scolastico 30-29 a.C.
Per la cronaca, la maestra non gradì particolarmente il lavoro di Virgilio e lo premiò con un 5 e ½ perché a suo dire "lo scritto è completamente slegato dalla traccia e supera il limite dei quattro fogli protocollo". Virgilio aveva infatti scritto 12 libri in esametri dattilici, quando gli era stato richiesto un semplice tema sulla gita del giorno prima a Gardaland.

Per quelli che non hanno il senso dell'umorismo, su Wikipedia è presente una voce in proposito. Eneide

Trama

- Insegnante: “Mi parli del più celebre poema di Virgilio.”
- Studente: “Ah, sì, Virgilio... beh, Virgilio ha scritto la... la...”
- Insegnante: “La?”
- Studente: “La Menneide!”
- Insegnante: “La Menneide?”
- Studente: “Sì, la Menneide. La Menneide, ecco, è un... un celebre poema - di Virgilio, appunto - che narra le avventure di Mennea, che nelle Olimpiadi di Troia del 1974 vinse l'oro nei 200 metri piani.”
- Insegnante: “Bene, le do sei. Vada pure a posto.”

Lo sgambetto greco e la caduta di Troia

   La stessa cosa ma di più: Guerra di Troia.
Troia nella sua età d'oro.

Esistono due correnti di pensiero riguardo alle motivazioni che portarono al sanguinoso conflitto raccontato mirabilmente da Omero (con la consulenza militare di Tom Clancy) e vergognosamente scopiazzato da Virgilio.
La prima corrente sostiene che tutto ebbe inizio quando Elena, regina di Sparta, ebbe la bella pensata di darsi all'adulterio e di fuggire con il principe troiano Paride.
Il di lei marito Menelao, definito a suo tempo da Omero come "un troglodita le cui corna erano visibili in tutto il Peloponneso", evidentemente non la prese molto bene e perciò chiamò il fratello maggiore Agamennone per risolvere in modo dignitoso e onorevole la faccenda: i due radunarono milioni di soldati, circondarono la città di Troia e per dieci lunghi anni cercarono di conquistarla e di metterla a ferro e fuoco.
I sostenitori della seconda corrente sono invece convinti che gli achei fossero interessati soltanto a un dolce tipico di Troia, la cui ricetta era custodita gelosamente dalle donne del luogo: la torta puttana.

A ogni modo, non è molto interessante sapere il perché si sia sviluppato questo sanguinoso assedio, tanto non è molto diverso dal classico film di Jackie Chan: in entrambi c'è un mucchio di azione, i personaggi sono sfigati che combattono in modo ridicolo, la trama è approssimativa e poco credibile e, dulcis in fundo, alla fine prevalgono i buoni.

Dopo dieci anni in cui non avevano nemmeno potuto ritirare la posta dalla cassetta, figuratevi la sorpresa dei cittadini di Troia quando una mattina le sentinelle annunciarono che l'esercito acheo era scomparso.

Il cavallo di Troia. Ancora oggi gli studiosi si chiedono da che parte siano entrati tutti quei soldati greci.

In effetti, tutto lasciava intendere che i greci se ne fossero andati: delle loro navi non c'era traccia, il loro accampamento era già infestato da tossici e barboni, e per terra furono trovati numerosi foglietti appallottolati che si rivelarono preventivi di viaggi low cost Troia - Grecia.
Inoltre, dopo tre ore di perlustrazione, gli attenti troiani notarono che sulla spiaggia campeggiava un cavallo di legno alto sette metri. Altre tre ore dopo, un troiano particolarmente sveglio si accorse che a fianco al cavallo era seduto un greco. Subito lo acciuffarono e lo costrinsero a dir loro tutto ciò che sapeva. Il tizio, tale Sinone, avrebbe volentieri spifferato tutto subito, ma non ci furono santi e i troiani lo torturarono colorandogli le unghie con lo smalto rosa e tirandogli torte alla panna in faccia.
Dopo un simile trattamento, Sinone confessò stravolto che i greci avevano costruito quel monolitico cavallo in omaggio a Minerva, affinché li proteggesse sulla via del ritorno.
"Essi dunque si sono riconosciuti sconfitti e sono fuggiti!"- sentenziò il saggio re Priamo.
"Macché, Eccellenza"- fece Sinone, "si sono semplicemente dimenticati il gas acceso."
Fu quindi deciso di portare il cavallo dentro le mura di Troia, sistemandolo al centro della roccaforte per rendere inequivocabile la vittoria e per far morire d'invidia quello stronzo del ragioniere Sabatini, il vicino di casa che si vantava sempre di avere i gerani più belli del quartiere. Nei cuori dei troiani, provati dagli interminabili anni di sofferenze, si scatenò la gioia.
Le strade si riempirono di gente pronta a far baldoria, il sidro scorse a fiumi, i musicisti suonarono tutta la notte, persino Enzo Miccio non aveva niente da ridire sul look degli altri.

Enea (al centro, riconoscibile per via della sua espressione fiera) e i suoi compagni fuggono da Troia in fiamme.


Poi, uno dopo l'altro, i fuochi si spensero, i balli e i banchetti cessarono, la gente tornò alle proprie case e le ragazze ubriache si appartarono nei vicoli con giovanotti di cui il giorno dopo non avrebbero ricordato neppure il nome. In quella notte tranquilla, solo un uomo si rifiutava di cadere nelle villose braccia del dio del sonno Domenico Morfeo: egli era Enea, principe dardano ed eroe della difesa di Troia.
Enea era il miglior guerriero della città, secondo solo a:

  • Ettore, ucciso barbaramente da Achille.
  • Gorgitione, trafitto da mille frecce achee.
  • Dolone, caduto per mano di Diomede.
  • Polite, massacrato sotto gli occhi di suo padre.

Insomma, Enea combatteva da schifo ma aveva un culo pazzesco.
Quella notte l'eroe era particolarmente inquieto: eppure, la guerra era vinta, sua moglie Creusa russava tranquilla nel talamo, suo padre Anchise riposava sereno all'ospizio, suo figlio Julo guardava i pornazzi di nascosto a volume abbassato.
Dato che il sonno stentava a venire, Enea decise di andare in terrazzo e di dedicarsi a uno dei suoi passatempi preferiti: sputare in testa ai passanti. Appena mise piede sulla porta, però, rimase senza fiato: Troia era in fiamme! Dappertutto c'era gente che combatteva disordinatamente, e dai templi e dalle case si levavano urla di disperazione e angoscia.
"Che strano, non mi pare sia iniziato il periodo dei saldi!" - rifletteva tra sé e sé Enea.
"Col cazzo, quelli sono greci!" - fece allora da una finestra Laocoonte, il suo dirimpettaio che come lui assisteva alle devastazioni. "Quei bastardi si sono nascosti nel cavallo di legno e, approfittando dell'oscurità, sono usciti e hanno aperto le porte della città! Tra un po' tutto l'esercito di Agamennone invaderà Troia! Portanna! L'avevo detto io, di non portare dentro quel cavallo!"

Il saggio Anchise piange la rovina della sua città.

E qui Laocoonte, che si credeva un profeta solo perché aveva seguito un corso di astrologia per corrispondenza, si lanciò in una serie di vaneggiamenti riguardanti sventure, catastrofi e serpenti giganti.
Enea non se lo cagò di striscio e, al grido di "Salviamo Troia!", corse a indossare elmo e armatura, a impugnare la spada, a farsi una tisana al gelsomino e ad allacciarsi i sandali con il nodo Savoia.
45 minuti dopo fu quindi pronto per combattere e scese in strada.
In breve attorno all'eroe si formò una piccola schiera di troiani disperati, più i soliti due o tre pensionati che non avevano nulla da fare e borbottavano: "Va là, e la chiamano distruzione questa! Alla loro età io già saltavo i fossi per lungo! Ai miei tempi sì che c'erano dei saccheggi come si deve!"
Cercando di rincuorare i compagni, Enea disse: "La città è stata tradita! Se c'è da morire, moriremo combattendo!" e subito si scagliò su un parchimetro, tagliandolo in due con un fendente.
Vedendo questa dimostrazione di sprezzo del pericolo, gli altri troiani si fecero forza e ripresero in mano le armi. Combattendo con la stessa determinazione di un custode belloccio chiuso per errore nella gabbia di un gorilla gay, quella notte Enea e i suoi si lanciarono su tutti i greci che trovarono, facendo pagar loro carissima la rovina della città ma soprattutto la distruzione del negozio del miglior kebabbaro di Troia.
Gli achei erano moltissimi, ma ancor di più erano i loro SUV che parcheggiati alla cazzo di cane in mezzo alla strada impedivano alla popolazione di fuggire e di spostarsi per la città.
Ben presto Enea si rese conto che Troia era ormai condannata. A che serviva sgozzare greci a man bassa? A che serviva rigare la carrozzeria a cento, duecento SUV?
Il suo dovere era un altro: doveva darsi allo sciacallaggio! Enea si diresse quindi al più vicino centro commerciale con l'intenzione di arraffare il maggior numero di spremiagrumi, ma una volta lì si accorse che molti altri figli di Troia avevano avuto la sua stessa idea. Tra la folla vide suo padre Anchise che faceva incetta di dentiere, la sua amata moglie Creusa che si accapigliava con un'altra donna per una borsa di Louis Vitton e suo figlio Julo con le braccia piene di giochi per la Nintendo Wii.
Incazzato come una iena perché non era rimasto neppure uno stuzzicadenti da rubare, Enea si mise a urlare: "Basta perdere tempo! Dobbiamo lasciare la città! In fretta, con me!"
Subito la sposa e il bambino gli si misero al fianco; il vecchio Anchise invece scosse la testa, scaracchiò in terra e disse: "Andate voi, che siete giovani! Io morirò col mio catetere e con la mia città!"

Julo.

"Ok vecchio, fai come vuoi! Buona fortuna!" - fecero gli altri tre senza battere ciglio, e lo avrebbero abbandonato là se Anchise non avesse cambiato idea e con un balzo da ginnasta non fosse saltato sulle spalle del figlio.
La famiglia si lanciò di corsa nei vicoli più oscuri della città, facendosi largo tra morti, feriti e vu cumprà particolarmente insistenti; alla fine Enea e i suoi giunsero a una porta che conduceva fuori dalle mura. "Siamo salvi! Abbiamo seminato quei vu cumprà!" - disse Enea ai suoi cari, ma non ebbe neppure il tempo di festeggiare il successo con un virile rutto che la gioia gli morì in gola: Creusa non era lì con loro! Dove si era cacciata quella dannata femmina?
Enea fu sul punto di lasciarla al suo destino, poi si ricordò che la sua carta di credito era in mano a Creusa e in preda alla disperazione tornò in città da solo. Setacciò Troia palmo a palmo, incurante della battaglia che ancora infuriava attorno a lui e dei giornalisti di Studio Aperto che filmavano la scena e sparavano vaccate. Alla fine scorse sua moglie davanti alla vetrina di una gioielleria.
Subito le urlò: "Eccoti finalmente, brutta troiana! Stai bene? Ma soprattutto, non hai toccato la mia carta di credito, vero?"
Sentendo quella voce Creusa si girò e con voce flebile rispose: "No, non ho fatto in tempo. La nera morte mi ha ghermito prima. Quella che vedi è solo la mia ombra, Enea! Non soffrire per me: va e segui la tua strada. Addio, ama il nostro piccolo Julo! Ah, dimenticavo, ti tradivo col fornaio!"
E in un battere di ciglia la figura di Creusa si dissolse nell'aria. Enea rimase impietrito dal dolore: in un attimo pensò alla sua carta di credito perduta per sempre, comprese perché a casa sua c'era sempre abbondanza di pane fresco, e infine decise di farsi forza e di tornare al luogo dove aveva lasciato Anchise e Julo.
Strada facendo passò davanti al panificio, miracolosamente scampato alla furia achea, e gli appiccò il fuoco.

La targa posta sulle navi di Enea.

Tornato dai suoi cari, Enea notò con stupore che attorno ai due si era formato il classico capannello di sopravvissuti inetti che tanto va di moda nei film horror. Aspettavano tutti lui, affinché li guidasse verso una nuova terra.
Enea non si fece intimidire dalla responsabilità, guardò tutti negli occhi così intensamente che la folla lo credette strabico e con determinazione disse: "Seguitemi, vi condurrò in salvo!"
Dopo un quarto d'ora si erano persi e riuscirono a orientarsi solo grazie a Julo che aveva l'orologio con la bussola incorporata.
Alla fine si rifugiarono in una foresta, abbatterono gli alberi e con la legna accesero un allegro falò attorno al quale cucinarono marshmallow e si raccontarono storie di fantasmi. A quel punto qualcuno fece notare che non erano lì per fare un campeggio, sicché il gruppo si spostò in un'altra foresta, abbatté nuovamente degli alberi e stavolta fabbricò venti navi.
Al momento di salpare Enea e i suoi compagni provarono un dolore straziante, sia perché lasciavano la loro patria sia perché i marshmallow erano scaduti da tre anni.
Quei poveri profughi non sapevano ancora che le loro gesta sarebbero state cantate per secoli e secoli.
Dai Pooh.

Il viaggio verso L'Italia

Le prime disavventure

Per sette anni Enea e compagni vagabondarono per i mari bevendo acqua salata e cibandosi di tonno Rio Mare. La prima terra che raggiunsero fu quella dei Traci e qui Enea, sceso a esplorare ma soprattutto a espletare impellenti bisogni fisiologici, pensò bene di appartarsi dietro un cespuglio di mirto. Non l'avesse mai fatto! Subitò risuonò una voce stridula: "Brutto sporcaccione! Vattene subito da questa isola! Io sono Polidoro, ucciso a tradimento e lasciato insepolto tra quegli sterpi che tu adesso stai ricoprendo di materia organica anfibia comunemente detta merda!"
Preso dal panico Enea corse alla navi con le braghe ancora calate e ruzzolò fino alla spiaggia atterrando di faccia sugli scogli.

Immigrazione clandestina, un problema oggi come ieri.


La tappa successiva fu l'isola di Delo, dove si trovava un famoso oracolo sacro ad Apollo. Enea attese pazientemente in coda per nove ore che arrivasse il suo turno, ma quando una donna incinta tentò di superarlo reagì male e scatenò una rissa. Mentre i buttafuori del tempio lo portavano via per le foto segnaletiche di rito fece in tempo a sentire la ieratica voce di Apollo sussurrare: "O Troiani, cercate l'antica terra da cui veniste! E non dimenticate di comprare qualche souvenir del tempio!"
Quando venne rilasciato Enea raccontò tutto ai suoi compagni; il saggio Anchise, che voleva spassarsela e amava il gioco d'azzardo, provò a dire che forse la terra da cui venivano era Las Vegas, ma bastò uno schiaffone a ridurlo al silenzio.
Dato che da buoni figli di Troia non sapevano dove fossero i loro natali, fu deciso che avrebbero visitato ogni paese nei paraggi. "Prima o poi troveremo la nostra terra d'origine, no?" chiedeva tutto speranzoso Enea.
Nonostante la sua fosse una domanda retorica, la risposta era no. I troiani girarono in lungo e in largo e in ogni paese in cui arrivarono ricevettero solo minacce, maledizioni e degradanti avance sessuali: in confronto a loro persino gli ebrei sembravano i turisti più benvoluti del mondo. In ordine cronologico visitarono:

  • L'isola di Creta, dove si diedero alla caccia dei maiali selvatici e vennero falcidiati dall'influenza suina.
  • Butroto, una cittadina in cui vennero accolti benissimo e trattati come nababbi, salvo poi scoprire che si trattava di un hotel a undici stelle e che li aspettava un conto salatissimo.
  • L'Isola dei Famosi, una località infernale abitata da cannibali, vecchie glorie cadute nel dimenticatoio e da un mostro antropomorfo che gli autoctoni chiamavano Simona Ventura.
  • Neverland, che lasciarono quando si accorsero che tutti i bambini presenti sulle navi erano spariti.
  • la Foresta di Sherwood, in cui vennero derubati delle loro già esigue ricchezze.
    Publio Virgilio subito dopo l'incidente che gli è valso il soprannome di "Il Marone": bella idea provare a radersi l'inguine con una benda davanti agli occhi!
  • La Sicilia, un'isoletta ridente ma piena di insidie. Enea riuscì piuttosto agevolmente a evitare i gorghi di Scilla e Cariddi, evitò con scaltrezza di farsi catturare dal ciclope Polifemo e riuscì perfino a rifutare, seppur con qualche difficoltà, il vassoio di cannoli offerto da Salvatore Cuffaro, un infido semidio che corrompeva con le sue leccornie gli incauti viandanti per poi ricattarli.

A causa di rallentamenti sulla Bologna - Taranto, i profughi furono costretti a fare una sosta nella tranquilla città di Drepano. Qui il saggio Anchise volle far vedere che aveva ancora il fisico alla sua età e andò a fare il bagno in un torrente gelato. Neanche i fumi col bronchenolo poterono nulla: morì delirando e con la febbre a quarantasette.
La morte di Anchise gettò tutti i troiani nello sconforto: come avrebbero fatto a tirare avanti senza la pensione del vecchiardo?
Toccò ad Enea ricordarlo con una toccante omelia funebre:

« Mio padre era una brava persona. Da buon meridionale gli piaceva spararle grosse, come quando si vantava di essersi portato a letto Venere. Non finirò mai di ringraziare quel fulmine che lo ha centrato e reso paraplegico: grazie alla pensione di invalidità ci siamo fatti le ferie in Costa Smeralda per trent'anni.
Ma mio padre aveva tante altre qualità: mi mancheranno i suoi sproloqui sul tempo troppo umido, mi mancherà la sua capacità di sopravvivere mangiando solo un tozzo di pane a settimana, mi mancherà soprattutto non poter più sfruttare la sua patente per non perdere punti! »
Virgilio legge ad alta voce l'Eneide. Da notare le facce atterrite degli astanti.

Didone, regina di due di picche

« Troiano, tirio... per me non v'è differenza! »
(Didone sulla sua grande apertura mentale)

Dopo aver buttato Anchise in una campana del vetro, gli esuli ripresero la via del mare. Stavano filando col vento in poppa quando l'altera dea Giunone li vide e decise di punirli: la dea infatti li odiava perché una volta aveva un commercialista troiano che le aveva consigliato di impegnare tutti i suoi risparmi per comprare azioni della Parmalat.
Giunone fece di tutto per affondare le venti navi di Enea: creò una spaventosa tempesta, evocò dal nulla gorghi e onde mostruose, telefonò alla guardia costiera e le disse che un gommone di albanesi stava tentando di sbarcare a Lampedusa. La flotta troiana sarebbe di certo stata annientata da questa combo di bastardate, ed Enea stava già calpestando vecchi e bambini per accaparrarsi l'unica scialuppa di salvataggio disponibile, quando l'intervento di Nettuno, dio dei mari e sindaco del paese omonimo, ristabilì la calma. "Giunone, come hai osato venire a scassare i cabbasisi in casa mia?" urlò Nettuno, "Io non vengo mica nel tuo salotto a cambiare l'arredamento! E sì che hai scelto una tappezzeria orrenda!"
Non appena la bufera si calmò Enea constatò con orrore che ben sette delle sue navi erano sparite e, peggio ancora, non si era assicurato contro gli attacchi delle divinità. I profughi sbarcarono quindi sulle coste della Libia.
Mentre i suoi compagni contrattavano sul prezzo delle taniche di benzina con i beduini, Enea chiamò con sè il fido Acate, si mise l'arco in spalla e si inoltrò nell'entroterra per cacciare un po' di selvaggina. Dopo cinque minuti era là che trascinava il cadavere di Acate e pensava a un modo per spiegare ai parenti come mai il loro congiunto avesse una freccia nella schiena, quand'ecco che apparve tra la vegetazione una donna dalle curve mozzafiato. Era Venere, protettrice della bellezza e dei chirurghi plastici.

- Venere: “Ho sentito la tua richiesta d'aiuto, figlio mio!”
- Enea: “Figlio? Ma allora mio padre non era un cacciapalle! È davvero riuscito a portarti a letto!”
- Venere: “Sì, beh, non è una cosa di cui vado fiera... ero giovane, ubriaca e lui voleva a tutti i costi farmi vedere la sua collezione di farfalle... ma torniamo a noi, Enea! Ho buone notizie per te!”
- Enea: “Vuoi dire che finalmente mi hanno preso a X Factor?”
- Venere: “No, imbecille! Devi recarti a Cartagine, e narrare alla regina la tua storia! Ti dico solo che ti è riservato un grande destino...”

Detto questo la dea salì su un tram e sparì alla vista dell'eroe dardano.
Enea ordinò dunque di far rotta verso Cartagine. Per tutta la durata del viaggio rimase in silenzio e con un sorriso a trentadue denti in faccia. Non rispondeva a nessuno; né all'amato figlio Julo, né al timoniere Palinuro, né alla moglie di Acate che voleva sapere come mai suo marito non si trovava da nessuna parte.

Didone apprende che Enea vuole abbandonarla.

Giunsero quindi al porto di Cartagine. La regina Didone e i cortigiani erano là ad attenderli sotto un enorme striscione che recitava WELCOME SONS OF TROY. Venere infatti aveva precedentemente inviato Mercurio ad avvisare i cartaginesi dell'arrivo di Enea e a promettere che se l'accoglienza fosse stata sgarbata avrebbe ordinato al suo esercito di scimmiette del deretano di radere al suolo la città.

Alla sera fu imbandito un suntuoso banchetto a base di caviale, foie gras e Biscotti Cuor di Merda. Come da copione Didone chiese a Enea di narrarle le sue vicende. Visto che la regina era un bel pezzo di manza l'eroe aggiunse alla narrazione qualche sparatoria e un inseguimento in auto che fa sempre figo.
Didone rimase colpita dalla parlantina sciolta e dalla tecnica della smentita fulminante di Enea, e più tardi confidò alla sorella Anna di provare attrazione per il troiano: "È da quando ho avvelenato il mio terzo marito che non provo un sentimento simile per un uomo!"
"Sorella mia" rispose Anna, che aveva la circonferenza e il fascino di un barile, "non devi sentirti turbata ma essere felice! Crea assieme ad Enea una famiglia felice, dai vita a una dinastia gloriosa, conforta i suoi ultimi istanti di vita quando ingerirà accidentalmente del cianuro!"
Fu così che Enea e Didone si fidanzarono con rito padano. Il loro idillio amoroso sembrava destinato a durare per sempre, ma un poema epico non può considerarsi riuscito se ogni quarto d'ora non salta fuori un dio a sfangare i coglioni ai poveri mortali.
In questo caso fu Giove in persona a rovinare tutto. Recenti indagini di mercato avevano evidenziato che la sua popolarità stava calando, così seguendo l'esempio delle starlette hollywoodiane decise di far parlare di sè con comportamenti assurdi e decisioni controverse. Mentre Enea stava scegliendo la lista nozze gli arrivò un telegramma che diceva:

« Sono il pezzo grosso. Lascia subito Cartagine e vai in Italia. Non fare domande, mi gira così. Distinti saluti, Tuo Giove »

Enea restò sgomento. Dove avrebbe trovato un'altra donna bella, che lo manteneva e che non si lamentava se lui scoreggiava a letto?
Poi comprese che non ci si può ribellare al volere degli dei e di Luciano Moggi e andò a comunicare a Didone la brutta notizia.

Enea si fa la ceretta, pittura parietale del I secolo a.C.

Lei la prese bene: gli ruppe in testa sedici piatti e minacciò di uccidersi se la lasciava.
Furono ore di indecisione per il condottiero troiano. Alle tre di notte finalmente si comportò da uomo: rubò tutta l'argenteria di Didone, radunò le sue navi e scappò come un ladro.
Alla mattina in ogni angolo di Cartagine erano udibili i lamenti della regina. Non aveva saputo della fuga di Enea, aveva una carie dolorosissima. Quando Anna da brava deficiente le disse cos'era successo Didone sputò dal naso il cappuccino che stava sorseggiando, si trafisse il petto con una penna bic e proferì una maledizione solenne:

« Giove, fa in modo che tra i miei discendenti e quelli di Enea ci sia sempre guerra terribile! »

Giove esaudì le sue ultime volontà. Ancor oggi c'è aspra rivalità tra gli ultras della AS Roma e quelli della Cartaginese.

Enea nell'Ade

Con in testa il doloroso ricordo della vasca a idromassaggio di Didone, Enea diede ordine ai suoi di attraccare nella più vicina isola e organizzò dei giochi sportivi. Era infatti passato un anno dalla morte di Anchise e le usanze dell'epoca prevedevano che in onore al defunto bisognasse sfidarsi in alcune discipline e far finta di essere dispiaciuti per la perdita. I giochi più gettonati erano:

A tutti i vincitori Enea in persona regalò un talento d'oro, un'ascia bipenne e un biglietto omaggio per il prossimo Festival di Sanremo.

Più o meno quel che capitò a Palinuro.

I troiani ripresero poi il viaggio nonostante metà dell'equipaggio fosse in preda a deliri alcolici e postumi di sbronze. A rimetterci più degli altri fu Palinuro che di notte, rimasto a governare il timone della nave mentre gli altri marinai dormivano, fu colto da allucinazioni visive e si convinse che in mezzo al mare c'era una provocante Milly Carlucci che gli faceva l'occhiolino e lo invitava a tuffarsi. Palinuro non seppe resistere, si gettò in mare e centrò di testa quello che credeva essere la Carlucci e invece era uno scoglio affiorante.
Destatosi a causa del tonfo, Enea corse a poppa e vide il suo galleggiante amico morto. Non potendo far altro, prese il comando del timone mormorando tristemente: "O Palinuro, così fiducioso da mischiare rum e vodka, possa il tuo corpo gonfio di superalcolici trovare degna sepoltura!"

Alla mattina sbarcarono a Cuma, in Campania, dove manco a dirlo c'erano un tempio e un fast food costruiti in onore di Apollo. Enea lasciò i suoi uomini a rifocillarsi ed entrò nel tempio per chiedere all'oracolo che tempo avrebbe fatto l'indomani e qualche numero da giocare al lotto.
Appena mise piede nell'edificio risuonò uno squillo di trombe e una sibilla col microfono in mano gli disse: "Complimenti, sei il visitatore n° 100000! Hai vinto una BMW X6 o, in alternativa, una visita guidata nell'Ade!"
Enea era stato segato sette volte all'esame di guida e scelse senza indugio la visita all'Ade. La sibilla lo fece accomodare in una golf car e poi partì sgommando dentro un antro oscuro e cavernoso.
La sibilla frenò di colpo quando arrivarono sulla sponda di un fiume di fango e sporcizia, l'Acheronte, in cui confluivano tutti i rifiuti prodotti a Napoli. Sulla riva una folla di ombre era in attesa di venir traghettata sull'opposta sponda ma il nocchiero Caronte, un rude barcaiolo con un fazzoletto verde al collo, accettava sul suo naviglio solo le ombre di razza caucasica e munite di regolare permesso di soggiorno, e alle altre menava pagaiate nelle reni.
Vedendo avvicinarsi Enea, lo respinse con modi spicci.

- Caronte: “Indietro! Io non trasporto vivi e baluba, e questo qui corrisponde a entrambe le categorie! Non c'è nulla che possa farmi cambiare idea!”
- Sibilla: “E se ti passassi il numero di telefono di quella mia amica brunetta che ti piace?”
- Caronte: “Montate su, pota!”

Superato l'Acheronte Enea e la sua accompagnatrice si fecero largo a gomitate tra le migliaia di anime che affollavano l'Ade. Tra la folla il condottiero troiano riconobbe con una stretta al cuore:

  • Palinuro, che gli chiese se aveva una birra
  • Didone, che gli chiese gli alimenti
  • la moglie Creusa, impegnata a limonare con il fantasma del fornaio

Il giro turistico si concluse con una capatina ai Campi Elisi, un pensionato di lusso a cui venivano destinati solo due categorie di persone: i puri di cuore e quelli che avevano abbastanza soldi e potere per comprarsi un posto. Enea stava ormai per andarsene quando in angolo, in mezzo a un gruppo di spiriti ottuagenari che giocavano a scopone scientifico, vide suo padre Anchise. Immensa fu la gioia! Enea aveva mille cose da chiedere al genitore, prima fra tutte dov'è che aveva nascosto la chiave della cassaforte. Il vecchio però non rispose alle pressanti domande e si limitò a consigliare al figlio di recarsi nel Lazio, che essendo ai quei tempi un paradiso fiscale aveva tutte le carte in regola per essere la loro terra promessa. Poi Anchise prese a elencare i nomi dei grandi uomini che sarebbero nati dalla città che Enea stesso con la propria discendenza avrebbe contribuito a fondare: Catone, Fabio Massimo, Giulio Cesare, Ottaviano Augusto, Francesco Totti, i Cesaroni e tanti altri.

L'Eneide illustrata da Gustave Doré.

Temendo che quell'elenco di nomi sconosciuti fosse un sintomo lampante di arteriosclerosi, Enea non indagò oltre. Quando la sibilla gli disse che l'Ade stava per chiudere e che se non si sbrigavano a uscire sarebbero rimasti chiusi lì dentro per l'eternità, Enea salutò col consueto schiaffone in faccia il suo saggio padre, rimontò in auto e tornò dai suoi compagni.
Li trovò che stavano per salpare. Enea saltò a bordo con l'agilità di un termosifone e si guardò attorno: sulla sua poltrona preferita sedeva Julo, paonazzo in volto. Indossava la sua armatura, portava al fianco la sua spada e abbracciava le sue concubine.

- Enea: “Chi diavolo vi ha dato ordine di partire?”
- Julo: “Ah, papi! Emh... che bello vederti! Sai com'è... emh... non ti abbiamo più visto tornare e così ci siam detti che magari eri morto. Tutto un equivoco, niente di più! Buffo, no?”
- Enea: “Schiodati dalla mia poltrona, ragazzo!”
- Julo: “Ma certo, padre! Eccola tutta per te! Ti posso portare un succo di frutta? No? Un altro cuscino, magari? Dov'è che si va, papuccio caro?”
- Enea: “Andiamo nel Lazio.”

La guerra Latina

L'arrivo inatteso

Al termine di settimane di navigazione i troiani sbarcarono stremati e macilenti presso il Tevere. Subito Enea inviò un messaggero al re locale Latino, che i suoi sudditi chiamavano Latrino poiché soffriva di incontinenza.
Latino accolse con benevolenza gli ospiti, e confidò ad Enea che durante una puntata de I fatti vostri l'aruspice Paolo Fox gli aveva profetizzato che l'unione di un principe straniero con sua figlia Lavinia avrebbe generato una stirpe eroica e gloriosa. "Enea, devi assolutamente sposare mia figlia!" concluse con un brivido Latino, "Anche perché gli unici stranieri presenti nelle mie terre oltre a voi sono zingari e romeni!"

Gli abitanti del Lazio ai giorni nostri ai tempi di Enea.

La scelta del monarca era però accolta con scetticismo da alcune fazioni della nobiltà: in particolare Turno, re dei Rutuli, rosicava da bestie.
Turno possedeva una Lamborghini Gallardo d'oro massiccio, aveva fatto da testimonial per Emporio Armani Underwear e la rivista People l'aveva inserito tra i 100 scapoli più desiderabili dell'epoca antica. Insomma, era il miglior partito per Lavinia.
Latino però era di altro avviso:

- Turno: “O saggio re, come puoi promettere la tua unica figlia al capo di quei vagabondi? Un matrimonio tra una nobildonna latina e un troiano è inammissibile!”
- Latino: “Non hai tutti i torti, Turno. Ma vedi, tarapia tapioco! Prematurata la supercazzola o scherziamo?”
- Turno: Eh?
- Latino: “PUPPAAA! Non te la prendere, gli dei hanno deciso così. Ora scusa ma ho un fastidioso attacco di diarrea...”

Turno uscì furibondo dal palazzo e mandò a tutti i suoi alleati un sms che diceva: SN TURNO, RADUNA TT I TUOI SOLDATI KE ANDIAMO A KOMBATTERE I TROIANI
Alla chiamata alle armi di Turno risposero i peggiori pendagli da forca della penisola italica. C'erano:

  • Mezenzio, un tiranno talmente sanguinario da far scoppiare in lacrime Hannibal Lecter.
  • Camilla, che sconfisse Xena in una gara a cuscinate e ottenne così il titolo di "principessa guerriera".
  • Aventino, frutto dell'unione tra Ercole e una pecora. Dai genitori ereditò la forza mostruosa e un morbido vello.
  • Messapo, domatore di cavalli ricordato più per un flirt con Moira Orfei che per le sue doti da guerrafondaio.
  • Catillo e Cora, principi greci che oltre ai nomi di merda avevano un seguito di guerrieri corazzati.
Antonio Tarconte e il suo celebre parrucchino.

Enea al contrario aveva qualche problema. Per usare una definizione di stampo militare, si trovava nella merda: Turno poteva contare su un esercito numerosissimo mentre lui aveva dalla sua soltanto soldati sfiniti, vecchi inabili, donne logorroiche, bambini autistici e pulci in abbondanza.
Una sera vide le truppe nemiche che si radunavano sulla sponda opposta del Tevere e decise di tentare un bluff che ancor oggi viene usato con notevole successo dagli statisti più spregevoli. Il giorno successivo infatti Enea risalì il fiume ed entrò nella vicina città di Pallanteo. Qui ottenne udienza dal re Evandro e riuscì a intortarsi il vecchio regnante dicendogli che Turno era in possesso di armi di distruzione di massa e che non si sarebbe fatto scrupoli a usarle. Evandro spaventatissimo concesse il suo appoggio a quel figlio di Troia di Enea.
Tutto tronfio delle sue abilità di spergiuro, l'eroe dardano stava tornando al suo accampamento quando venne fermato per strada in due occasioni:

  • la prima volta da Tarconte, re degli Etruschi, che era arrivato per dargli manforte col suo esercito. Interrogato sul motivo del nobile gesto rispose: "Non fanno niente di bello in tv."
  • la seconda volta da un pony express che doveva consegnargli un pacco da parte della mammina premurosa Venere. All'interno c'erano un maglione di lana, cinque paia di mutande, un biglietto che gli raccomandava di lavarsi i denti e uno splendido scudo forgiato da Vulcano.

Latini VS Troiani

Eurialo e Niso.

Approfittando dell'assenza di Enea, Turno strinse d'assedio la cittadella troiana e cercò di forzarne le difese, ma le porte sigillate col silicone ressero. Incazzatissimo, Turno ordinò allora di appiccare il fuoco alle navi troiane, ma quelle per volere dell'ennesima dea ficcanaso si trasformarono nelle copie sputate di Federica Pellegrini e sparirono nell'acqua fra orrende bestemmie in veneziano.
A Turno stava venendo un ictus dalla rabbia. I troiani si misero a intonare cori da stadio per sbertucciarlo. Alla decima riproposizione di "Che puzza, che tanfo, Turno entra in campo" il re dei Rutuli impazzì: con un urlo belluino e un balzo plastico da ballerina del Bolshoi oltrepassò la palizzata troiana e si mise a trucidare tutti quelli che gli capitavano sotto mano. L'eccidio si concluse a quota duecentonove quando Turno pestò erroneamente un rastrello e si rifilò da solo una mazzata sui denti. Evitò un sicuro linciaggio grazie alla prontezza dei suoi guerrieri che se lo caricarono in spalla e lo portarono in salvo.

Calò la notte. Sugli spalti della cittadella troiana si trovavano due sentinelle, Eurialo e Niso. I due erano amici d'infanzia e analmente intimi. In quel momento erano in un bel rovello: da un parte sapevano che il loro dovere era restare di guardia, dall'altra desideravano con tutto il culo andare nella vicina città di Agilla dove era in corso l'ultimo giorno del Gay Pride.
Dopo una scrupolosa analisi decisero che rivendicare il loro orgoglio gaio era più importante della salvezza dei loro concittadini, per cui lasciarono la loro postazione e con fare silenzioso attraversarono le linee nemiche. I soldati erano pieni di birra e cibo, e dormivano placidamente nel loro stesso vomito; per i due troiani fu facile ammazzarli nel sonno. Eurialo, da quel modaiolo folle che era, commise però l'errore di prendere come trofeo una borsa coperta di paillettes.
Affrettando il passo, si erano lasciati alle spalle l'accampamento di Turno quando udirono rumore di cavalli. Eurialo e Niso si nascosero tra i cespugli, ma il luccicchio di paillettes li tradì e ben presto si ritrovarono circondati dai cavalieri nemici. I due amici lottarono con la furia del Cristiano Malgioglio dei tempi d'oro, ma vennero ben presto catturati. Condannati al supplizio dell'impalamento, seppero affrontare la morte con coraggio e anche con un pizzico di soddisfazione.

Dopo una settimana passata a ubriacarsi e a giocare a dadi nelle taverne col suo nuovo amico Tarconte e con Pallante, figlio adolescente di Evandro, Enea fece ritorno dai suoi concittadini, che nel frattempo si erano fatti un mazzo tanto per respingere gli attacchi di Turno & Friends.
Lo scontro tra gli schieramenti raggiunse toni così epici da mettere in difficoltà persino due grandi commentatori come Christian Recalcati e Ciccio Valenti.

I troiani pregano per l'anima di Pallante.

Da una parte e dall'altra erano centinaia i guerrieri che perivano, e altrettanti quelli che si mettevano in mostra: Pallante incuteva timore grazie alla sua potente lancia e all'acne giovanile, Enea era così invasato che uccideva ogni avversario tre volte, Turno tagliava arti e squartava interiora con tale precisione che ormai il suo grido di battaglia era: "Ho fatto un etto e mezzo, lascio?"

Nel furore della battaglia Turno e Pallante si trovarono faccia a faccia. Il giovane già pregustava di poter abbordare le pollastre dicendo loro di aver ucciso Turno, ma i suoi sogni scoperecci ebbero una brusca interruzione quando il re dei Rutuli lo passò da parte a parte con la lancia.
Enea rimase agghiacciato nel vedere la fine del suo giovane amico. Straziato dal dolore, fece appena in tempo a pensare: "Porcozio! Stai a vedere che adesso suo padre se la prende con me!" e poi si rituffò nella lotta con forze rinnovate. Enea pareva invincibile: né la superiorità numerica dei nemici, né le ferite, né le malattie veneree rimediate nelle bettole parevano in grado di fermarlo. Sotto la sua spada e il suo alito perirono:

  • Tarquito, a cui Enea staccò la testa e la usò per palleggiare.
  • Mago, soffocato dal suo stesso intestino.
  • Camerte, dal quale Enea ricavò un raffinato scendiletto.
  • Lucago e Ligeri, due guidatori di carro che tentarono di investire Enea con una betoniera.
  • Mezenzio e suo figlio Lauso, a cui Enea infilò vicendevolmente la testa nell'ano.

La fine delle ostilità

« È arrivato il tuo Turno! »
(Enea prima di uccidere Turno)

Dopo aver ucciso Mezenzio, Enea raccolse con un cucchiaio ciò che rimaneva del corpo di Pallante, fece un bel pacchettino con tanto di fiocco e lo spedì al padre Evandro. Su entrambi gli schieramenti cadde un silenzio rotto da pianti e lamenti: ovunque c'erano donne che piangevano i loro mariti, figli che piangevano i loro padri, creditori che piangevano i loro debitori, generi che piangevano perché le loro suocere erano ancora vive.

Camilla nell'ultimo spasmo di sofferenza prima di morire.

Nel frattempo re Latino, fedele alla sua fama, era impegnato in una riunione di gabinetto con i maggiori condottieri dell'esercito. Tra i presenti serpeggiava l'incertezza: chi consigliava di far la pace coi troiani, chi voleva sferrare un ultimo attacco alla cittadella di Enea, chi voleva fuggire a Casablanca e cambiare sesso. Finalmente qualcuno ebbe una buona idea: la guerra sarebbe stata decisa con un duello tra Enea e Turno. Mentre i consiglieri discutevano se adottare o no la regola dei gol in trasferta, irruppe nella sala un messaggero, portando la notizia che un manipolo di troiani stava per assaltare la città.
"I vecchi stiano qui a tremare!" esclamò Turno, che fino a quel momento era stato impegnato a nascondere le proprie caccole sotto il tavolo, "chi ha cuore nel petto mi segua alla battaglia!"
E qui si accorse che nessuno lo seguiva e se ne andò furente.

Lo scontro che seguì vide fronteggiarsi la cavalleria dei Volsci con a capo la guerriera Camilla e gli etruschi di Tarconte.
Camilla combatteva in bikini e percorreva il campo circondata dalle sue fedeli ragazze pin-up. Gli avversari erano perciò troppo impegnati a sbavare per combattere e finivano trafitti dalle micidiali frecce di Camilla.
Il destino volle che tra le fila etrusche vi fosse un omuncolo insignificante chiamato Arrunte. Costui era stato di recente mollato dalla ragazza e si trovava in quello stato di temporanea misoginia secondo cui tutte le donne sono delle gran zoccole. Essenso immune al fascino femminile, Arrunte si spinse all'inseguimento delle guerriere e, appena si trovò a debita distanza, scagliò la sua lancia al grido di: "E comunque ne trovo mille come te!"
Camilla cadde al suolo già morta, senza il tempo di recitare neppure uno stupido slogan femminista.
Neppure Arrunte ebbe il tempo di gioire per l'unica azione ganza della sua vita, perché la dea Diana, protettrice delle donne combattenti e delle principesse morte in incidenti stradali, lo fece annegare sotto una pioggia di cambiali.

Pressato dall'opinione pubblica e dalla solita stampa faziosa, Turno acconsentì a sfidare Enea in un duello. La vigilia dello scontro fu piuttosto movimentata a causa di Giuturna, sorella di Turno, che per impedire al fratello di farsi ammazzare si incatenò a un albero.

Il drammatico scontro finale tra Enea e Turno.


La mossa non diede i frutti sperati, tanto che dopo un iniziale imbarazzo lo stesso Turno ordinò di lasciarla là.
Successivamente scoppiarono dei tafferugli, forse a causa dell'ingente giro di scommesse e del sospetto che i due contendenti truccassero l'incontro per guadagnare una fortuna.
Finalmente la calma fu ristabilita e Turno ed Enea si affrontarono in uno spiazzo erboso fuori dalle mura. Tutt'attorno i paninari facevano affari d'oro, sugli spalti tutti trattenevano il fiato, gli hooligans lanciavano fumogeni e l'arbitro sospese l'incontro per tre minuti.
Fu Turno a prendere l'iniziativa: scagliò la sua lancia e colpì un volantinaro dell'ENPA. Tutte le spettatrici impellicciate applaudirono.
Enea contrattaccò: stavolta a morire fu un vigile urbano.
I due rivali si lanciarono in un feroce corpo a corpo. Alle mossette da donnicciola del nemico Enea rispondeva con il classico repertorio di bassezze: sabbia negli occhi, ginocchiate sugli zebedei, graffi, sputi e pallottole di moccio.
Con le ultime forze Turno provò a sollevare un enorme masso per spiattellare Enea, ma un colpo della strega gli fu fatale e crollò a terra con un cigolio sinistro.
Enea allora si concesse qualche foto ricordo con i fan, dopodichè si avvicinò a lui per finirlo.

- Turno: “Uccidimi, se vuoi, ne hai il diritto. Ma se hai pietà, pensa ai miei genitori, pensa a quella scema di mia sorella legata a un albero, pensa al mio chihuahua Alfonsino... lasciami tornare da loro...”
- Enea: “Un uomo che chiama il suo chihuahua Alfonsino non merita di vivere.”

E usando un martello di gomma da clown gli inferse il colpo di grazia.

Conclusione

Come in ogni favola che si rispetti, anche nell'Eneide arriva il lieto fine. I troiani condussero una vita felice nel Lazio, Enea sposò Lavinia per poi tradirla con la colf filippina, Giuturna è ancor oggi incatenata a un albero, re Latino morì serenamente sul cesso, Julo fondò Alba Longa e aprì una fabbrica di caciotte e Alexander Fleming scoprì la penicillina.

Collegamenti epici

Questa è una voce di squallidità, una di quelle un po' meno pallose della media.
È stata miracolata come tale il giorno 19 luglio 2009 col 40% di voti (su 25).
Naturalmente sono ben accetti insulti e vandalismi che peggiorino ulteriormente il non-lavoro svolto.

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