Federico Fellini
Federico Fellini (Pensione Miranda II di Rimini, 20 gennaio 1920 – Policlinico Umberto I di Roma, 31 ottobre 1993) è stato un regista e sceneggiatore italiano. È considerato universalmente uno dei più grandi ed influenti cineasti della storia del cinema interplanetario, anche perché è difficile immaginare un bacarozzo di Giove alto due metri con una cinepresa sul groppone.
Una cosa si sa con certezza: nella Galassia Sombrero (M104), sul pianeta Pangrattatis III, è atterrata da circa tre mesi la sonda Pioneer 9. Oltre alle altre cianfrusaglie culturali del nostro mondo, conteneva una cassetta VHS con la scena de I vitelloni in cui Alberto Sordi fa il gesto dell'ombrello, per l'occasione ridoppiata appositamente:
Questo rende probabilmente Fellini il primo regista odiato profondamente al di fuori della Via Lattea.
Ha vinto per quattro volte il Premio Oscar al miglior film straniero, più un altro alla carriera. Due volte il Festival di Mosca, circa due km di Nastri d'argento, Palme d'oro, Orsi, Leoni, David, Jumpo, BAFTA... l'unica cosa che non è riuscito a vincere è stato un pupazzo a forma di Nonna Papera, al tirassegno Goldoni sul lungomare di Riccione (e sua moglie c'è rimasta malissimo).
Ha lasciato opere indimenticabili, ricche di satira, malinconia e caratterizzate da uno stile onirico e visionario.
Le domande che Fellini suscita nello spettatore sono: "chi siamo?", "dove stiamo andando?" e, soprattutto, "con chi?" (viste le brutte facce che ci sono in giro). Comunque, se si va in macchina ci si vede in piazza.
Biografia
Infanzia e giovinezza
Federico Fellini nasce a Rimini in bassa stagione, perché costava meno. Il padre è un rappresentante di liquori, generi alimentari, dolci & gabbiani. Si chiama Urbano e vive a Gambettola, un paesello a circa 20 km dalla città, motivo per il quale è chiamato simpaticamente: Extra-Urbano. La madre, Ida Barbiani, è una casalinga romana del rione Esquilino. Conosce Urbano durante una vacanza a Riccione e resta affascinata da quel bel romagnolo, che le offre un assaggio del suo prodotto di punta, il salame. Come tutti sanno, l'abuso dell'insaccato alza il colesterolo, nonché la possibilità di rimanere pregna. Il piccolo Federico viene allattato al seno per poco tempo e la madre, attingendo alla sua educazione prettamente "de borgata", lo svezza a coratella e pajata.
Questa singolare alimentazione continua negli anni e finisce per generargli frequenti incubi notturni, inizia a formarsi il suo personalissimo stile onirico.
Il padre lo porta a vedere i film di Charlie Chaplin, l'amore per il cinema matura, diventa quasi mania e si focalizza su quello sperimentale, tanto da portarlo a chiamare i montanti del letto col nome dei quattro cinema porno di Rimini: Luxuria, PonPon, Fiamma e Gradisca.
Fellini segue studi regolari, infatti va regolarmente a scuola tutti i martedì. Mentre frequenta il Liceo classico Giulio Cesare rivela il primo dei suoi talenti, disegnando vignette e caricature di compagni e professori. Questo lo rende simpatico come un bambino che per giocare ti riga la macchina con un chiodo. È solo per una generosa donazione in vettovaglie, da parte del padre all'intero corpo docente, che Federico vede mutare la sua terrificante media voti da 2,8 a 8½[1].
Agli inizi del 1939 si trasferisce a Roma con la scusa di frequentare l'Università, in realtà per realizzare il desiderio di dedicarsi alla professione giornalistica e di andare a Ponte Milvio a farsi fare un pompino come Cristo comanda.
I primi lavori
Fellini giunge nella capitale seguito dalla madre Ida, dai due fratelli Riccardo e la piccola Maddalena, il pastore maremmano Rufus, il polipo ammaestrato Alfio e i quattro montanti del letto.
Si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza ma, una notte, sogna di diventare un bieco avvocatucolo al soldo di un vecchio mafioso e lascia gli studi. Nell'aprile del 1939 inizia a collaborare sul Marc'Aurelio, la principale rivista satirica italiana, come disegnatore. Le sue celebri "Storielle di Federico" attirano l'attenzione dei maggiori comici del momento, tra cui: Erminio Macario, Aldo Fabrizi e Benito Mussolini, per i quali scrive spassosi monologhi.
Nel 1941 viene chiamato a collaborare con l'EIAR[2], avviando una breve stagione come autore radiofonico. Durante la lavorazione della fortunata serie di 24 radioscene Cico e Pallina (una sorta di Situation comedy alla radio[3]) conosce la giovane attrice di rivista Giulietta Masina. Vuoi perché era simpatica e carina, vuoi perché continuava ad echeggiargli nella mente "donna nana tutta tana", lei diventerà sua compagna inseparabile ed interprete, sposandola il 30 ottobre del 1943. Essendoci ancora la guerra, trascorsero la luna di miele due giorni a Fregene (anche perché ad Anzio stavano per sbarcare gli alleati), l'ambitissimo viaggio di nozze a Venezia fu rimandato di qualche anno.
L'esperienza da sceneggiatore
Sempre agli inizi degli anni quaranta Fellini conosce Tullio Pinelli, scrittore per il teatro. In breve nasce un proficuo sodalizio professionale: Fellini elabora idee e schemi, Pinelli li dispone dentro una struttura testuale, rischiando più volte di andare fuori di melone.
I due firmano come sceneggiatori i primi grandi successi di Aldo Fabrizi: Avanti c'è posto..., Campo de' fiori, Pasta e ceci e Coda alla vaccinara. Nel 1944, in tempo di guerra, Fellini dipinge caricature per i militari alleati in un locale di via Margutta, una traversa di via del Corso, rimediando qualche dollaro, sigarette e, in un paio di occasioni, calci nelle palle. Nel 1945 avviene la svolta professionale, Fellini incontra Roberto Rossellini. Per lui collabora alle sceneggiature di Paisà, Roma città aperta e Pina ce l'ha aperta[non accreditato]. In Paisà Fellini ricopre anche il ruolo di assistente sul set. All'insaputa del regista, dirige una lunga inquadratura della sequenza ambientata sul Po. Durante la visione dei giornalieri, di fronte alla scena sul fiume, Rossellini si gratta la testa perplesso e poi esclama:
Siccome un volta, gli unici film che duravano meno di due ore erano quelli porno, la scena fu lasciata. È il battesimo di Fellini dietro la macchina da presa.
Prime esperienze di regia
Nel 1950 Fellini si sentiva ormai pronto per piazzarsi dietro la macchina da presa: aveva sempre sognato di guardarci dentro. L'occasione arrivò col regista Alberto Lattuada, col quale fondò una cooperativa finalizzata non solo alla regia, ma anche alla produzione di film su larga scala, in nome dell'arte e, perché no, del rimpolpamento dei rispettivi conti in banca. Quello stesso anno uscì quindi Luci del varietà, in cui si racconta come i giovani, anche se privi di vero talento, vogliano cimentarsi a tutti i costi con la carriera nel mondo dello spettacolo, con un arrivismo e un calcolo riscontrabili tutt'oggi negli sfigati che partecipano ai vari talent show. Fellini voleva dirigere con metodi prussiani, Lattuada invece ispirava paciosità e indolenza. La troupe, manco a dirlo, seguì le direttive di quest'ultimo, trovandosi spesso impreparata e reduce da stravizi notturni. Bene o male, alla fine il film uscì. Fellini e Lattuada attendevano speranzosi i riscontri positivi di pubblico e critica. Ci avevano preso o no?
Il debutto assoluto come regista
Se Luci del varietà aveva ottenuto un discreto successo di critica, al botteghino non era andata allo stesso modo: le sale erano costantemente semivuote e alcuni bigliettai furono trovati cadaveri con le ragnatele penzolanti dal naso. Si piazzò come incasso al sessantacinquesimo posto tra i film italiani della stagione 1950-51, preceduto anche da Gianni e Pinotto contro l'uomo invisibile. Fellini e Lattuada si trovarono perciò a spartirsi i debiti e ad addossarsi l'un l'altro la colpa del fiasco. In breve si mandarono vicendevolmente a fanculo. Dopo due anni trascorsi a disegnare motivetti floreali sulla carta igienica per tirare avanti, Fellini debuttò come regista, con Lo sceicco bianco, con Michelangelo Antonioni coautore del soggetto ed Ennio Flaiano coautore della sceneggiatura. Nel ruolo di protagonista, il coattore Alberto Sordi.
È il momento cruciale nella carriera felliniana: il momento nel quale l'attività di regista prende il sopravvento (e pure la "strizza").
Ormai Fellini ne era certo: con questo film avrebbe "svoltato", sia artisticamente che economicamente. In effetti l'opera si caratterizza per uno stile particolare, nuovo, estroso, umoristico, con un realismo trasognato e quasi delirante. Troppo avanti per quei tempi. La gente comune non andava al cinema e se ci andava guardava altri film.
Gli incassi al botteghino furono un'ecatombe. Il produttore Luigi Rovere costrinse Fellini, per espiare, a partecipare come flagellante alla Processione dei battenti a Guardia Sanframondi (BN).
Dopo Luci del varietà il regista gira I vitelloni, che racconta la vita di provincia di un gruppo di amici a Rimini. Questa volta il film ha un'accoglienza entusiastica. Dopo aver vinto il Leone d'argento a Venezia, fa incetta di coccarde colorate alle fiere campionarie di bestiame in tutta la Penisola. All'estero è campione di incassi in Argentina (dove si intitola Hijo de vaca) e riscuote un buon successo anche in Francia, che anche loro di vacche ne capiscono. Negli Stati Uniti la pellicola sbanca il botteghino nella prima settimana, l'ammiccante titolo Little Big Cow induce il poco smaliziato spettatore americano a crederlo un film sui cowboy. Dopo le prime visioni continua però inaspettatamente a fare un sacco di soldi, perché entra in scena il perfido "effetto Nøstdahl":
Il successo internazionale galvanizza Fellini, che si getta in un lavoro febbrile da cui, da li a poco, usciranno le sue più grandi stron opere.
Il grande successo
Il grande successo internazionale giunge in modo inaspettato, quasi come una cartella esattoriale consegnata il sabato mattina. Il film è La strada (del 1954), nato per una singolare coincidenza di eventi vissuti da Pinelli e Fellini. Il primo stava attraversando in auto un passo di montagna e notò due artisti di strada: lui un omone che tirava una carretta con dentro un tendone, dietro il mezzo c'era una donnina che spingeva. Il secondo stava attraversando in auto la campagna marchigiana e notò una donna minuta appoggiata ad una carriola vicino un fienile, dietro di lei un energumeno che "spingeva". La discussione evolse su due temi principali: il primo focalizzato sull'ambiente del circo e degli zingari, il secondo sulla "settimana tipo" di uno stupratore seriale errante. Prevalse l'idea degli artisti di strada, ma Fellini volle metterci per forza il personaggio del Matto. Per interpretare Zampanò la scelta cadde sull'affermata star americana Anthony Quinn il quale, abituato ai fasti delle produzioni hollywoodiane, dovette adattarsi ad un trattamento modesto, rinunciando: alla portantina con i quattro neri, alle sei escort tutte le sere, e a sostituire l'aragosta a colazione con un piatto di coda alla vaccinara. L'attore accettò di buon grado, comprendendo da subito lo spessore artistico della pellicola, nonché il profondo "significato onirico" della testa mozzata del suo chihuahua avuta per posta. Nel 1957 La strada ottiene il premio Oscar come miglior film straniero, istituito per la prima volta in quell'edizione, sfruttando il debole di uno degli organizzatori per i cani di piccola taglia.
Prima del secondo Oscar, avuto col film Le notti di Cabiria (del 1957), Fellini gira uno dei suoi peggiori flop. Viene spontanea una considerazione: se vuoi che tua figlia sia di carattere allegro ed ottimista non la chiami Addolorata o Consolata, al limite Gaia, allo stesso modo, se vuoi fare un film di successo non è affatto di buon auspicio chiamarlo Il bidone.
È il 1960, Fellini gira La dolce vita. La pellicola abbandona gli schemi narrativi tradizionali, procedendo "a tozzi e bocconi". All'uscita nelle sale divampa la polemica perché, oltre a illustrare situazioni fortemente erotiche, descriveva una certa decadenza morale della società italiana. Col senno di poi, paragonandola all'attuale situazione del paese, soprattutto senza fare nomi, tutto questo ci fa sorridere... amaro. Interprete del film, insieme con Marcello Mastroianni, la svedese Anita Ekberg, definita dalla critica internazionale: "due stratosferiche bocce con qualcosa intorno". Celebre la scena del bagno nella Fontana di Trevi, efficace metafora visiva il cui messaggio è: "che diamine lo facciamo a fare il referendum sull'acqua pubblica se poi, invece di darcela gratis, ci fate sciacquettare la passera alle turiste svedesi?"
La consacrazione
Agli inizi del 1962 Fellini vive un periodo di scarsa ispirazione e stanchezza. Dopo aver provato a farsi di marijuana, LSD e caffè Borghetti, gioca la carta della disperazione: si reca a Chianciano Terme. In quell'oasi di tranquillità viene però pressato dalle frequenti visite della produzione, che gli rammenta l'impegno preso di girare presto un nuovo film. L'idea inizia a maturare: parlerà di un uomo di mezza età che interrompe la sua vita per una cura termale[4] e qui, immerso in un limbo surreale, affronta visite e ricordi[5]. Per il protagonista non ha dubbi, sarà ancora Marcello Mastroianni, che identifica come suo alter ego cinematografico.
Tornato a Roma si accorge però di un piccolo problema, si è dimenticato di cosa doveva parlare il film (maledetta LSD) e i fogli su cui aveva preso appunti erano "andati", in seguito ad un attacco di squacquera solerte (maledetta acqua della salute).
Oramai rassegnato, Fellini telefona al produttore Angelo Rizzoli per comunicare la disfatta, subentra il panico e inizia a farfugliare:
Quando uno è bravo (o sculato) ce la può sempre fare[6]. Il personaggio principale, Guido Anselmi, diventa a questo punto la proiezione di Fellini stesso. Il film si accaparra due Oscar ed è considerato uno dei più grandi della storia del cinema, nonché il più fortuito. Prende il titolo di 8½, poiché questa pellicola viene dopo sette film più un "mezzo" (cioè Le tentazioni del dottor Antonio, un episodio di Boccaccio '70).
Gli ultimi lavori
Dalla seconda metà degli anni '70 il lavoro del Maestro si evolve, diventando un vero e proprio catalogo di invenzioni registiche, contenenti una galleria di personaggi definiti "tipicamente felliniani". Se un qualsiasi regista avesse provato a chiamarne uno: Snàporaz o Katzone, sarebbe stato additato come volgare e bandito dalla macchina da presa, ma Fellini può farlo, è poesia, fine satira, intuizione geniale.
A dirla tutta, si era davvero "rincojonito", voleva fare a tutti i costi un film con Cicciolina, ma in quel momento lei era molto "presa" perché stava girando Tappatemi tutta. Ripiegò allora sull'altra pornostar del momento, Marina Lotar, per farle interpretare un culo nel film La città delle donne (1980). L'ultimo decennio di attività di Fellini è arricchito da altri capolavori: E la nave va (1983), Ginger e Fred (1985), Intervista (1987), e il lavoro dell'addio al cinema: La voce della luna (1990), nel quale avrà come protagonisti Paolo Villaggio e Roberto Benigni.
Nel 1992, dopo un periodo di inattività, dirige tre brevi spot pubblicitari per conto di una banca "felliniana". Per evitargli lo sputtanamento definitivo, l'Accademia delle arti e scienze cinematografiche americana, gli conferisce il suo ultimo Oscar, il più importante, quello alla carriera (e se lo leva dalle palle).
La morte
Il 30 ottobre del 1993 Fellini avrebbe dovuto celebrare le sue nozze d'oro con la moglie, ma era ricoverato presso il Policlinico Umberto I di Roma, per un secondo itticus (una malattia che colpisce prevalentemente i saraghi). Morì il giorno dopo, per un frammento di mozzarella di bufala che gli ostruì la trachea, causandogli danni irreparabili al cervello per la conseguente ipossia. I funerali di stato vengono celebrati nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri Morti Accisi a Roma in piazza della Repubblica. Durante la cerimonia, su volere di Giulietta Masina, il trombettista Mauro Maur esegue Improvviso dell'Angelo di Nino Rota, a quel punto anche l'organista vuole omaggiare il Maestro e, per non essere da meno, suona Honky Tonk Train Blues, nella versione di Keith Emerson. Un musicista di strada irrompe con la sua Fender Stratocaster sulle note di Hey Joe di Jimi Hendrix e, finito l'assolo, spacca con la chitarra un'acquasantiera del '700. Riportato l'ordine, dopo aver giustiziato sul posto il drogato con la Fender, la cerimonia riprende e termina con la sfilata delle autorità. Dopo l'ultimo saluto, a distanza di cinque mesi, muore anche la moglie.
A Fellini è intitolato l'aeroporto internazionale di Rimini, l'unico al mondo in cui gli aerei partono solo di notte e, per raggiungerli, ti accompagna la "maschera" con la torcia.
Dopo la sua morte, tutte le strade che sboccano sul lungomare riminese sono state ribattezzate con i nomi dei suoi film e "ornate" da cartelli con le relative locandine e descrizioni. Il cartello in via "La dolce vita" è impreziosito dal reggiseno (sesta misura) di Anita Ekberg.
Robe rimaste nei cassetti
Sono numerosi i soggetti che Fellini pensò di trasformare in film ma che rimasero sulla carta o, addirittura, solo nella sua immaginazione. Il più famoso di questi è Il viaggio di G. Mastorna, una compiuta sceneggiatura felliniana di cui vennero girate alcune scene ma, per scaramanzia, il film non giunse mai a conclusione.
La storia sarà poi alla base di un fumetto erotico disegnato da Milo Manara. Secondo i progetti del regista nel film avrebbero potuto recitare Totò (o al suo posto Paolo Villaggio), il solito Marcello Mastroianni o, in alternativa, Gabriel Pontello e, nella parte della conturbante danzatrice del ventre pregna, Gina Lollobrigida, oppure Vanna Marchi. Su quest'ultima era in forte dubbio, tanto da pensare anche alla cantante Mina per quel ruolo.
Stessa sorte toccò a Viaggio a Tulun, un soggetto/sceneggiatura di Fellini che non divenne un film bensì un fumetto, disegnato ancora da Manara. Lo spunto è un viaggio nel sito maya di Tulum, fatto assieme allo scrittore Andrea De Carlo nel 1985. Fellini voleva visitare i luoghi raccontati dallo scrittore-antropologo-sciamano Carlos César Salvador Aranha Castañeda, per ottenere la sua stessa singolare percezione del mondo. Per chi fosse incuriosito dalla figura del buon Carlos, possiamo dire che : "al suo confronto, Sid Vicious nell'uso di droghe era un poppante". Dal racconto dei due protagonisti, emerge un viaggio carico di presagi e di inspiegabili episodi fra il grottesco e il sovrannaturale. E non poteva essere altrimenti. Nel 1987, durante una seduta spiritica nella contea di Greene, nel Tennessee, l'anziana vedova O'Hara voleva contattare l'amato Archie: è invece apparso Bob Marley, ancora incazzato perché voleva andare con Fellini a Tulum, ma era morto quattro anni prima e si era perso tutto quello sballo.
Fellini e il fumetto
Sin dai tempi della scuola Fellini si dilettava a disegnare caricature raffiguranti i suoi insegnanti o i compagni di classe. Aveva però la pessima abitudine di farlo sui registri di classe o sui banchi. I suoi disegni dell'epoca raffiguravano sostanzialmente il preside in atteggiamenti sconvenienti con bestie mitologiche, asini o cavalli. In questo si dimostra un autentico antesignano del fumetto erotico degli anni '70. Per lungo tempo non fu scoperto, poiché in calce alle sue opere apponeva di volta in volta una firma diversa, imitando quelle del corpo docente e dei suoi compagni. I primi sospetti si addensarono su di lui solo quando ci si accorse che non era mai raffigurato nelle vignette.
L'attività di fumettista permise a Fellini di tirare avanti fino ai primi anni '50. Si convertì definitivamente alla regia, abbandonando il disegno, solo quando si rese conto che era più gratificante e meno faticoso dire agli attori cosa dovevano fare invece di lavorare con matita e gomma su disegni di cui nessuno, molto probabilmente, avrebbe afferrato il senso:
Premi e riconoscimenti (mancati)
Fellini ha vinto tutto quello che c'era da vincere, più o meno come la Juventus nell'era Lucky Luciano, però in modo legale. Contrariamente al Milan di Sacchi, che ricorse al vincente modulo 4-3-3, il Maestro fece incetta di premi con l'8 1/2.
A questo punto, sarebbe consono fare un elenco dei suoi premi ma, dopo aver perso il conto delle nomination agli Oscar per la sesta volta consecutiva, mi sarei anche rotto il
contenuto del sacco scrotale. Per non farci notte, parleremo quindi dei premi che gli sono sfuggiti:
- IV° Concorso Short Movies al Bagno Wanda a Riccione. Il suo cortometraggio Salcicce a Gabicce, pur contenendo un prezioso riferimento allegorico alla transumanza migratoria estiva della turista nordeuropea, si dovette arrendere al ben più esplicito Svetlava... ciucciami la fava!, del suo amico e collega Franco Zeffirelli.
- III° Festival Cinematografico Reale dello Swaziland. Sua Maestà Orzo Bimbo ha premiato (come sempre) sua figlia la Principessa Zelda. La critica ha gridato allo scandalo per la terza ed ultima volta, poi è stata sciolta, nell'acido.
- Stockholm International Film Festival del 1985. Il suo Ginger e Fred ottenne il poco invidiabile record di ventisei minuti di fischi consecutivi.
- Festival Cinematografico Condominiale del Rione Garbatella. Il premio per la migliore regia è andato a Gaudenzio Passoni, titolare della Lux & Luxury Foto e Robbe Pe' Cecati s.r.l., autore dell'applauditissimo filmino del matrimonio dei coniugi Rozzi.
- Il Telegatto non l'ha mai beccato, c'ha provato più volte, addirittura usando le sardine come esca, ma niente.
Bibliografia
Su Fellini sono stati scritti diversi libri, molto interessanti e pieni di pagine con stampato sopra qualcosa, inoltre... possiamo dire che...
Filmografia
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La strada (1954). Alcuni artisti vivono in schiavitù nel circo di Moira Orfei. Il forzuto Zampanò si affranca dalle catene e libera gli altri, dopo aver dato la vecchia megera in pasto alla tigre Belfagor.
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Le notti di Cabiria (1957). La giovane Cabiria è una fornitrice di ciccia baffuta a nolo. Un figlio di una sua collega la illude di sposarla, per poi sottrarle tutti i suoi soldi (frutto del sudore delle proprie cosce).
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La Dolce Vita (1960). Un'attricetta (scartata ai provini di Cinecittà) campa rubando le monete dalla Fontana di Trevi. Viene arrestata e incarcerata nel tugurio del Grande Fratello.
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Fellini Satyricon (1969). Ascilto ed Encolpio, due giovani scapestrati romani, finiscono nel torbido giro dei gladiatori-trans. Scopriranno quanto è difficile raddrizzare certe situazioni, e la schiena.
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8½ (1963). Il titolo è riferito alla misura in zapuk senegalesi (circa 3 cm) dello "smembrapapere" di Mastroianni. Resosi conto della cosa, Fellini svenne.
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Giulietta degli spiriti (1965). La raffinata Giulietta è sicurissima di aver vissuto vite precedenti. Con l'aiuto di una medium, scopre di essere stata la matta del paese nel 1800 e un avanzo di bordello nel 1900.
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Roma (1972). Fellini ebbe l'ardire e la lungimiranza di lanciare Alvaro Vitali. Il film mise l'attore di fronte ad una delle prove espressive più complicate: lo sguardo da scemo. Il mito Vitali era iniziato.
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Amarcord (1973). Titta cerca di trombarsi tutte le belle tope del circondario. Al 145° Due di picche ripiega sulla tabbaccaia culona.
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Il Casanova di Federico Fellini (1976). Il Maestro si occupò personalmente dei provini. Dopo aver visionato circa nove tonnellate di tette, quelle della moglie lo gettarono in depressione (malattia che lo accompagnò per il resto della vita).
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Prova d'orchestra (1979). Il vecchio direttore viene sostituito da una stronza raccomandatissima. Ella impone una disciplina ferrea, fatta di bacchettate sulle mani ad ogni errore. La rivolta esplode. Dopo aver distrutto il teatro, i settantadue elementi la violentano a turno.
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La città delle donne (1980). Il signor Snaporaz viene rapito e portato in una comunità femminista di Alghero. Si è aperta la stagione della riproduzione e, in tre mesi, dovrà "sifonare" tutto ciò che si muove o respira.
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La voce della Luna (1990). Film testamento di Fellini, contenente un'aspra critica alla contemporaneità. Scena simbolo: il padrone del ristorante è un accanito tifoso del Milan, i vessati camerieri aprono (con violenti calci) la porta della cucina, sulla quale c'è una foto di Silvio Berlusconi.
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