Fratelli Gracchi
I fratelli Gracchi (in lingua originale The Grack Brothers) furono due tribuni della plebe che presero leggermente sul serio V per Vendetta, film non molto apprezzato ai tempi dei Romani, che per questo li assassinarono entrambi.
Ricordiamo inoltre che molti dei loro avversari approfittavano del nome gayeggiante di uno dei fratelli per fare della facile ironia; noi sinceramente riteniamo che esistano nomi assai peggiori di Tiberio.
Tiberio
Tiberio era il maggiore dei Gracchi, quindi, più che per le sue imprese politiche molti storici lo ricordano per la sua abitudine di infilare il proprio indice insalivato nell'orecchio di Gaio.
Nato nel 163 a.C. dal plebeo omonimo Tiberio Sempronio Gracco, che gli diede tal nome per non essere l'unico a essere chiamato in un modo così osceno, e dalla patrizia Cornelia, figlia dell'ex console Publio Cornelio Scipione detto l'Africano in quanto lampadato più del dovuto, già da piccolo si interessava alla politica: col suo amico Calabronio Spappulonio soleva sovente all'età di 10 anni salire sul cavalcavia della Equinostrada Roma - Neapolis per lanciare sassi alle bighe blu dei senatori che vi passavano sotto, accusandoli di essere schifosi borghesi nemici del proletariato.
Si sposò a 16 anni con una tipa conosciuta al club, figlia del senatore Oppio Claudio; gli anni successivi combatté in Libia sotto il comando del cognato Scipione Emiliano nella celebre guerra della caccola bagnata.
Tornato in patria, nel 133 a.C. si fece eleggere tribuno della plebe perché, secondo lui:
La prima cosa che fece in qualità di tribuno fu pisciare per strada senza dover rendere conto a nessuno. Liberata la vescica, stabilì di compilare una legge chiamata Lex Agraria per la ridistribuzione del grano nei territori italici, usurpate in precedenza dai ricchi con la forza (d'animo e di volontà).
Questa riforma era atta a favorire i plebei, che per sostenere Tiberio si recarono più volte ai suoi saggi di danza a fare il tifo. Gli aristocratici puntarono così sul collega di Tiberio, Marco Ottavio, che grazie al suo diritto di feto, un diritto che consentiva ai tribuni della plebe di bloccare le iniziative dei colleghi lanciando corpi di bambini abortiti in faccia agli avversari, riuscì a bloccare il Gracco. Per vendicarsi, Tiberio gli fece il gesto dell'ombrello davanti a tutti quanti, e lo fece scoppiare in lacrime. Nacque così una feroce disputa tra i sostenitori della riforma e coloro che parteggiavano per i proprietari terrieri; alla fine la legge, sebbene fosse a discapito degli aristocratici, fu approvata dai senatori, che non si ricordavano se i patrizi erano quelli poveri o quelli ricchi.
La legge fu anche approvata dal concilio della plebe, assemblea che si svolgeva nel noto centro sociale Curia Ostilia. Poco tempo dopo tuttavia i senatori si resero conto dell'errore commeso: osservando il cartellino di riconoscimento che solevano portare al petto, in quanto membri dello staff della repubblica, scoprirono di essere loro i patrizi. Quelli con i soldi, per intenderci.
Nonostante i numerosi oppositori, Tiberio si ricandidò nuovamente come tribuno, stavolta invece perché gliel'aveva detto il medico. Il giorno della votazione tuttavia non ricevette la maggioranza e i suoi oppositori rinviarono l'assemblea al giorno dopo perché vi era una forte pioggia e il pallone rimbalzava male. Tiberio scoppiò in pianto, poiché lo scosse un'innocua affermazione di un suo nemico:
Il giorno dopo i partigiani di Tiberio giunsero al Campidoglio cantando Bella ciao! per difendere Gracco dalle probabili aggressioni. Purtroppo le aggressioni furono più che probabili, dato che avvennero: i sostenitori di Tiberio, armati di grissini giganti e bandiere della CGIL, non riuscirono a fronteggiare gli oppositori del tribuno, che fu ucciso a bastonate nella carneficina che seguì. Celebri le sue ultime parole:
Gaio
Dopo la morte di Tiberio, suo fratello Gaio, anziché realizzare che sarebbe stato più saggio diventare panettiere, decise di seguire le sue orme; purtroppo per lui le avrebbe seguite fino al campo santo. La carriera di Gaio iniziò nel 126 a.C., quando entrò in questura col grado di appuntato. Venne dunque inviato dal maresciallo in Sardegna, dove fu costretto a vivere di solo pane carasau per due anni. Tuttavia i suoi superiori lo richiamarono a Roma dopo aver scoperto con orrore che Gaio ormai accompagnava il saluto romano con un sonoro "aiòòò!!". Qui Gaio, essendo di natura generosa, si fece eleggere tribuno della plebe nell'anno 123 a.C., per rendere la data più facile da ricordare per la gente del futuro. Venne rieletto l'anno dopo sconfiggendo di poco l'altro candidato, che era la sua mano con su disegnati occhi e bocca.
In qualità di tribuno della plebe il suo compito consisteva nell'incitare il popolo alla rivoluzione indossando una maglia del Che e nel guardare i senatori e gli aristocratici agitando il braccio in segno di disprezzo borbottando insulti. Già il suo primo giorno in tribuna, Gaio propose 948 leggi a favore dei populares, cioè i cassintegrati che, credendo che le Guerre giugurtine le avrebbe vinte la Numidia, mandarono a fanculo il loro capo e gli cagarono sulla biga Lamborghini. Di queste leggi 943 vengono accolte dai senatori con una spernacchiata, mentre le altre sarebbero divenute note come Leges Semproniae, giacché Gracco le dedicò al povero Sempronio, l'amico di serie B di Tizio e Caio.
Leges Semproniae
Tra le Leges Semproniae attuate da Gaio ricordiamo la Lex de viis muniendis, che prevedeva la costruzione di una grande strada che collegasse le città di Salerno e Reggio Calabria, e la Lex de tribunis poco deficientis, che garantiva la rieleggibilità dei tribuni e dava loro il diritto di parcheggiare anche nei posti riservati ai disabili. Inoltre Gaio non si limitò a questo, poiché confermò la riforma del fratello commentandola con un "Quoto!" e promise la cittadinanza romana ai latini, quella latina agli italici e quella italica al primo stronzo che incrociò sul pianerottolo. Per finire fece passare la legge frumentaria che stabiliva che i plebei urbani erano più fighi degli altri e quindi avevano diritto a grandi sconti sul frumento e al cinema pagavano il biglietto ridotto.
Probabilmente a un certo punto della sua vita Gaio ruppe qualche catena di Sant’Antonio, oppure appese alla terrazza del senato una bandiera della Juventus, dato che non si sa come da un giorno all'altro tutta la repubblica lo volle morto, o perlomeno non respirante: il Senato lo odiava perché le sue proposte di legge costringevano i senatori a lavorare, che qua i plebei si alzano alle 6 mentre i senatori non fanno niente tutto il giorno perché è tutto un magna-magna; i membri della classe equestre ce l'avevano con lui perché era contrario al sesso zoofilo e la plebe lo ripudiava quando non riusciva a ottenere che a ciascun plebeo venisse assegnata una villa d'oro massiccio.
Così, quando venne chiamato a difendere la sua legge sulla pubblica piazza, il popolo insorse con un futile pretesto: i più lontani non sentivano perché Gaio non voleva usare il microfono. Il Senato ne approfittò allora per decretare il Senatus consultum ultimum, un provvedimento straordinario che autorizzava le guardie ad uccidere Gaio a colpi di sedano[1].
Lui si ritirò quindi sull'Aventino coi suoi tremila e passa seguaci, ma fu costretto a scappare verso il tempio di Diana quando la puzza delle ascelle di quel tale Passa diventò soverchiante. Prima che le guardie potessero multarlo con l'accusa di essere ancora vivo, scappò dunque verso il tempio di Minerva;
uscendo da lì cadde però a terra e si sbucciò un ginocchio; passando dal tempio di Luna invece sbatté l'alluce sulla statua della dea e gli si staccarono entrambe le gambe, e ciò lo portò a una situazione molto particolare, chiamata dagli scienziati "morte". Secondo la tradizione si fece uccidere da uno schiavo, che lo decapitò urlando:
Voci correlate
Note
- ^ Il provvedimento è anche chiamato "Sedanus consultum ultimum"