Incidente di Vermicino
L'incidente di Vermicino fu una partita di nascondino che durò un po' troppo. Vincitore fu il piccolo Alfredino Rampi, il quale riuscì a sfuggire per tre giorni alle ricerche di familiari, forze dell'ordine e speleologi nascondendosi in un pozzo artesiano a Vermicino, frazione di Frascati.
Le operazioni di recupero del vivace[Be'...] frugoletto, trasmesse in diretta dalla RAI, tennero davanti al televisore più di 21 milioni di italiani, convinti di assistere a una puntata del Grande Fratello particolarmente avvincente.
Cos'è un pozzo artesiano
Sul termine pozzo dovremmo essere tutti d'accordo. Invece il termine artesiano deriva da... ma chi se ne frega?
Si tratta di un buco lungo, stretto e profondo, scavato nel terreno da uomini cattivi, che ormai hanno ridotto la terra come una gruviera. Gli uomini cattivi fanno i buchi nel terreno dove sanno di trovare acqua, così possono spruzzarla in giro e farsi i gavettoni. Il pozzo artesiano funziona più o meno come i pozzi di petrolio: quando nel sottosuolo c'è abbastanza acqua, la pressione la fa salire in superficie senza l'ausilio di pompe sommerse. I costruttori di pompe sommerse sono tutti incazzati contro i costruttori di pozzi artesiani e si fanno un sacco di dispetti a vicenda.
E quando c'è poca acqua? Semplice, il pozzo non la spruzza fuori e le pareti del buco si coprono di fango e muffa. Uno schifo. Per evitare di caderci dentro lo si chiude con un coperchio qualsiasi, ma ogni tanto bisogna lasciarlo aperto per consentirgli di ruttare. La terra è viva, quindi rutta.
Il pozzo artesiano non è cattivo, ma il suo peccato originale consiste nell'essere stato scavato.
Le tappe della vicenda
La famiglia Rampi aveva una casa in quel di Frascati, ove soleva farsi i cazzi propri. Il proprietario del terreno accanto, che stava edificando una nuova abitazione, aveva pensato bene di assicurarsi un adeguato approvvigionamento idrico mediante la costruzione di un pozzo artesiano.
Non era previsto che il pozzo e il bambino dovessero incontrarsi così da vicino, ma del resto non era previsto nemmeno che la Costa Concordia andasse a baciare gli scogli dell'Isola del Giglio.
Ecco come si svolsero i fatti.
L'incidente
Alfredino Rampi era un bravo bambino. Doveva esserlo, per accettare un nome del genere.
Alfredino non diceva mai bugie, faceva il chierichetto e lavorava quaranta ore a settimana all'Italsider, per mantenere i genitori, i cinque fratelli e la nonna. Alfredino era molto educato. Non si metteva mai le dita nel naso, e tantomeno le metteva nei nasi altrui.
Alle 19:20 del 10 giugno 1981 Alfredino stava giocando al suo gioco preferito (vangare gli otto ettari di orto), quando il padre lo chiamò:
Alfredino era un bravo bambino e obbedì. Dopo mezz'ora era ancora via. I genitori, impegnati a sniffare vernice, non diedero troppo peso alla cosa.
Dopo un'ora, di Alfredino ancora nessuna traccia. E quel che è peggio, doveva ancora passare l'aspirapolvere e preparare la cena.
Alle 21:30, allarmati dall'assenza del bimbo e soprattutto del pakistano, i genitori pensarono che Alfredino fosse scappato con la droga. Cercarono allora il loro pusher di fiducia, il quale affermò di non aver mai visto Alfredino quella sera. Dopo aver nascosto i bong, i genitori allertarono le forze dell'ordine.
Sul posto giunsero la Polizia, i Carabinieri, i Vigili Urbani, i Vigili del fuoco, la Justice League e l'Assoconsumatori. Venne subito diramato un identikit del bambino (razza caucasica, capelli neri, altezza un metro e trenta). In molti segnalarono di aver visto Alfredino nei pressi degli studi RAI di Roma, ma la volante inviata sul posto appurò che si trattava soltanto di Giancarlo Magalli.
Alle ricerche si unirono molti cittadini, alcuni dei quali armati di doppietta perché per un errore di comunicazione si era sparsa la voce che Alfredino fosse un pericoloso galeotto evaso dal carcere di Rebibbia.
Vennero impiegate anche un'unità cinofila, che setacciò le campagne circostanti, e un'unità cinefila, che si limitò a guardare un film di Totò.
Alle 23:00 erano stati ritrovati decine di cani e gatti smarriti, lo scienziato Ettore Majorana, la figlia scomparsa di Albano e la scatola nera dell'aereo di Ustica, ma non Alfredino.
La nonna di Alfredino, nel frattempo, continuava a ripetere:
Ma essendo ottantenne e arteriosclerotica, non venne creduta. La cariatide tentò allora di impadronirsi di un escavatore, ma venne sedata e arrestata con l'accusa di intralcio alle indagini.
Un agente di polizia, il brigadiere Cataldo Sbrufolati, volle comunque verificare l'intuizione di nonna Rampi e infilò la testa nel pozzo. Sbrufolati scoprì che Alfredino era effettivamente caduto nella voragine, ma all'atto di comunicare la scoperta ai colleghi si accorse con rammarico di essere rimasto incastrato con la testa nell'imboccatura.
Dopo tre ore di infruttuosi tentativi, per liberare il brigadiere fu necessario recidergli le orecchie con una molla a disco. Alfredino, intanto, aspettava.
I soccorsi
Nel giro di pochi minuti i soccorritori si radunarono attorno all'imboccatura del pozzo. Dato che all'epoca non esisteva la Protezione Civile, chiesero rinforzi alla Protezione Incivile, ma vennero liquidati con un:
La situazione di Alfredino sembrò subito drammatica per due motivi:
- Il pozzo era profondo 80 metri e presentava sporgenze, rientranze e tutta una serie di ostacoli naturali che rendevano difficile il recupero del bambino, come dimostra lo schema seguente:
- A capo delle operazioni era il comandante dei Vigili del fuoco di Roma Elveno Pastorelli, forte di un diploma di quinta elementare. In seguito rivelatosi falso.
Come prima cosa, Pastorelli tentò di recuperare Alfredino usando una pinza raccogli rifiuti lunga 120 cm. Quando i suoi collaboratori gli fecero notare che con quello strumento era un tantino difficile riuscire ad arrivare ad Alfredino, che era incastrato a 36 metri di profondità, Pastorelli esclamò:
E legò con del nastro adesivo la pinza raccoglirifiuti a un manico di scopa. Purtroppo nemmeno quell'espediente ebbe fortuna.
Alle ore 4:00 dell'11 giugno giunse a Vermicino un gruppo di giovani speleologi del Soccorso Alpino, che si offrirono come volontari per calarsi nel sottosuolo. Pastorelli, che stava tentando di risucchiare Alfredino in superficie con l'ausilio di uno sturalavandini gigante, ribattè seccato che lui non aveva mica tempo da perdere con proposte astruse.
Quando anche lo sturalavandini si rivelò inutile, Pastorelli decise di scavare un tunnel parallelo al pozzo. Una geologa lì presente, Laura Bortolani, gli fece notare che sarebbe occorso un lungo tempo per la perforazione, in quanto in quel punto il terreno era più duro per via di un substrato di cadaveri occultati dalla banda della Magliana. Pastorelli non amava ricevere consigli, soprattutto perché non li capiva, e accolse il suggerimento della dottoressa Bortolani con un signorile invito a succhiargli la ciolla.
Alle ore 6:00 una trivella iniziò a scavare. A tutta prima il terreno si rivelò friabile e la macchina riuscì a calare senza sforzi, tanto che Pastorelli si lasciò andare a dichiarazioni sborone con i giornalisti:
Verso le 12:00, tuttavia, la trivella si fermò perché incontrò uno strato di roccia granitica difficile da scalfire. E poi c'era la pausa pranzo. E la pennichella.
Intanto il povero Alfredino, in stato confusionale, si lamentava perché in tv non davano niente di interessante e chiedeva che gli portassero qualcosa da bere, meglio se un mojito.
Nel frattempo, visto che nessuno aveva pensato di recintare la zona, attorno al pozzo si era raccolta una folla di circa 10000 persone, tra addetti ai lavori, troupe televisive, semplici curiosi e turisti giapponesi portati sul posto da guide turistiche senza scrupoli. I porchettari e gli anguriari lavoravano senza sosta, mentre i venditori ambulanti più smaliziati incollavano la faccia di Alfredino sopra alle t-shirt dei Rolling Stones e le rivendevano a peso d'oro.
Verso le 14:00 una ventina di vecchi, sfidando la canicola, si fece largo fino all'imboccatura del pozzo e una volta lì tempestò i soccorritori con una raffica di critiche ficcanti:
Verso le 15:00 fu reperita una trivella più grande e potente nei pantaloni di Rocco Siffredi e si riprese a perforare. Un inaspettato aiuto arrivò dallo stesso Alfredino, in quale, in preda ai morsi della fame, iniziò a mangiare la parete rocciosa che lo imprigionava.
Alle 18:22 il pozzo parallelo aveva raggiunto una profondità di 21 metri e un diametro di 50 cm, il che rendeva possibile il passaggio solo a Kate Moss. Preoccupati per le condizioni di salute di Alfredino, che soffriva di una cardiopatia congenita in attesa di essere operata a settembre, i parenti convocarono Elvezio Fava, primario di rianimazione all'ospedale San Giovanni.
Fava, con aria estremamente professionale, indossò lo stetoscopio e si mise ad auscultare il terreno per una decina di minuti. Quindi comunicò la sua diagnosi:
Alle ore 20:00, con un CRAC! che fu udito fino a Teramo, la trivella di Rocco Siffredi si spezzò contro una vena di eternit. L'impavido eroe, accompagnato da due ali di folla ossequianti, fu trasportato al più vicino pronto soccorso con le pudenda in un secchiello del ghiaccio.
Pastorelli fu costretto a fare un appello televisivo per una terza trivella, che arrivò soltanto alle 23:00 per gentile concessione di un contadino bresciano. La trivella, un antiquato modello a energia muscolare azionato da quattro robusti servi della gleba calabresi, riuscì a scendere fino ai 25 metri, ma incappò in un giacimento di petrolio. Dopo una pausa necessaria per ripulirsi dalla morcia e per fare il pieno di greggio alle loro Campagnole, i soccorritori ripresero a trivellare.
Incalzato dall'opinione pubblica, Pastorelli acconsentì finalmente a lasciar scendere nel pozzo un volontario. Si trattava di Isidoro Mirabella, un aitante sessantaduenne che si guadagnava da vivere come sosia di Bombolo. Mirabella, a causa di un fastidioso attacco di squaraus che rischiò di sigillare il cunicolo, fu ripescato in superficie prima di potersi avvicinare al bambino, anche se poté parlargli. Non ebbe però risposta perché Alfredino, da bambino educato, non parlava con gli sconosciuti.
La mattina del 12 giugno si scavava ormai con ogni mezzo a disposizione: ruspe, badili, mani, cucchiai da the. Quentin Tarantino, generosamente, mise a disposizione il suo mento. Alfredino, in uno stato pietoso, alternava crisi di pianto alle maggiori hits della Rettore.
Alle 16:30 l'auto blu presidenziale sgommò nel terreno, coprendo di polvere e terriccio la folla di curiosi e i paninari lì accanto. Quando la visibilità tornò accettabile, Super Pert saltò fuori dal mezzo con un prodigioso colpo di reni e il suo inconfondibile sorriso rassicurante. Sbuffò dalla pipa emettendo lo stesso suono di Popeye e balzellò leggiadro verso l'imboccatura del pozzo. La folla lo acclamava, sperava, tifava per lui:
Super Pert chiese di parlare con Alfredino, quindi fu microfonato e auricolarizzato a dovere. Cominciò:
A questo punto la diretta fu interrotta per mandare uno stacchetto pubblicitario, quindi la ricostruzione del discorso di Super Pert appare quanto mai lacunosa. Sappiamo però che Alfredino, che si era visto piovere addosso pipa e tabacco, dopo aver dato dell'imbecille a Super Pert, richiese ed ottenne dei fiammiferi.
Quando un sottile filo di fumo si levò dall'imboccatura del pozzo, Super Pert esclamò:
E sparì nel nulla, come un latitante in Barbagia.
Si riprese a scavare: alle 19:00 il cunicolo orizzontale fu completato e finalmente il pozzo di Alfredino fu posto in comunicazione con il pozzo parallelo, a 34 metri di profondità. Pastorelli tirò fuori un magnum di Moët & Chandon del 1962 che aveva serbato per l'occasione. Stappò la bottiglia schizzando tutto il suo entourage e si mise a saltellare come un tarantolato gridando: «Sììììì! Ma vieni! Ma vieni!» Lanciò per aria la bottiglia che cadde proprio nel pozzo artesiano, spingendo Alfredino almeno altri trenta metri più sotto. Un volontario calatosi nel pozzo ne riemerse trionfante con la bottiglia in mano gridando: «Non si è rotta! Ed è ancora piena per metà!» E cominciò a tracannare a grandi sorsate. Un gruppo di scalmanati gli fu subito addosso, nel tentativo di sottrargli la bottiglia. Ne nacque un parapiglia che fu a stento sedato dalle forze dell'ordine.
Nel frattempo Pastorelli, dopo aver bevuto una 0,40 di Lexotan, fece scattare il "piano B", che consisteva nell'affidarsi alle preghiere e alla buona sorte, autorizzando chiunque, purché sufficientemente smilzo, ad introdursi nel pozzo per tentare il tutto per tutto.
Si fecero avanti i sette nani, che fecero una catena umana nanesca all'interno del pozzo, ma Dotto si incastrò in un restringimento, mentre Brontolo si lamentava dell'assenza di diamanti in quella miniera. Fu la volta di un trapezista che però, non appena vide il suo costume inzaccherato dalla fanghiglia, si mise a piangere e se ne tornò al circo di provenienza. Dallo stesso circo si propose un contorsionista detto l'uomo-anguilla, capace di arrotolarsi su se stesso, ma fu catturato da uno della folla, che lo tranciò in porzioni uguali e lo arrostì sulla brace. Si fecero avanti altri speleologi, tutti con quel rotolino di ciccia in più che li bloccava sul più bello. La situazione stava precipitando, quando si presentò un mucchietto d'ossa tenuto insieme da un po' di pelle, due giri di spago e un granitico istinto di conservazione: Angelo Licheri.
Licheri, un coraggioso cacciatore di pantegane, si fece calare nel pozzo artesiano per tutti e 60 i metri di distanza dal bambino. Iniziò quindi ad allacciare l'imbracatura attorno ad Alfredino, ma il bambino, devastato dalla fame, dalla stanchezza e dalla puzza di cadavere in putrefazione proveniente dalle ascelle del Licheri, reagì al tentativo di salvataggio con graffi, sputi e calci.
Licheri non si lasciò impressionare e con ordine e metodo cercò di ricondurre Alfredino alla calma prendendolo a papagni in bocca. Alfredino però sembrava la bimba dell'Esorcista e continuava a dimenarsi e a vomitare roba verdastra. Dopo tre ore di lotta all'ultimo sangue, Licheri tornò in superficie pesto, sanguinante e senza Alfredino. Ai presenti in attesa di notizie, rispose:
Un ultimo tentativo fu affidato al volontario Donato Caruso, uno che aveva smesso di credere a Babbo Natale a 37 anni. Anche Caruso riuscì ad arrivare fino ad Alfredino, ma a causa della completa oscurità in cui era costretto a lavorare, allacciò l'imbragatura a una talpa.
Milioni di spettatori, vedendo l'animale estratto a braccia dal buco, sobbalzarono sulla sedia esclamando:
Il 13 giugno Alfredino Rampi fu dichiarato presumibilmente morto da un magistrato che aveva presumibilmente ottenuto la laurea coi punti della Mulino Bianco. Per assicurare la conservazione del corpo, il magistrato ordinò che fosse immesso nel pozzo del gas refrigerante, ma ci fu un errore e venne pompato del gas esilarante. La salma, non senza difficoltà, fu recuperata da tre squadre di minatori:
- Minatore 1: “Guarda questo povero bambi... AH AH AH!”
- Minatore 2: “Sì, una vera trage... AH AH AH!”
L'impatto mediatico
Al contrario di quanto si crede, l'incidente di Vermicino non fu il primo evento eccezionale a venir narrato in diretta dalla RAI. Nel 1966 una puntata di Carosello era stata cancellata per mandare in onda l'operazione di vasectomia di Aldo Moro, ma gli ascolti non erano stati buoni.
A Vermicino i vertici RAI vollero ripetere l'esperimento, favoriti dalla vicinanza del luogo dell'incidente agli studi televisivi e convinti dall'incauto ottimismo professato da Pastorelli. Stavolta la risposta del pubblico fu più che positiva: 21 milioni di italiani restarono per più di 18 ore davanti alla tv, in alcuni casi ricordandosi anche di accenderla.
L'Italia intera si bloccò: gli operai non andarono in fabbrica, le casalinghe non prepararono da mangiare, persino i politici non accettarono bustarelle. In tutta la penisola si registrarono casi di televisori esplosi a causa del surriscaldamento. I piccoli incendi si trasformarono in roghi giganteschi perché i pompieri erano troppo impegnati a seguire la vicenda di Alfredino per intervenire.
A Vermicino vennero anche coniati due neologismi destinati a fare scuola:
- "tv del dolore", in riferimento alla decisione di dare copertura mediatica a un dramma privato;
- "faccia di merda", in riferimento a Gabriele Paolini che già da allora rompeva i coglioni alle spalle dei cronisti.
Per rispetto nei confronti della vittima e per non turbare gli animi più sensibili, il Tribunale civile di Roma decretò in seguito il divieto di pubblicazione delle sequenze filmate in cui Alfredino Rampi "piange o singhiozza", "chiama la mamma o i soccorritori" e quelle in cui "bestemmia come un muratore veneto che si è appena martellato un dito".
Alla ricerca di un capro espiatorio
Quando sulla vicenda calò il sipario, e sul povero Alfredino due metri di terra del cimitero del Verano, ebbe inizio lo sport preferito dalla folla: la caccia al responsabile. Diversamente sarebbe stato arduo riempire le vuote giornate estive.
Si cominciò mettendo sotto torchio tutti i volontari che avevano provato a calarsi nel pozzo. Sebbene le versioni di costoro collimassero alla perfezione, gli investigatori si fecero un mazzo tanto alla ricerca di eventuali incongruenze, che però non c'erano. Si formularono alcune ipotesi:
- Alfredino era stato buttato nel pozzo da qualcuno;
- quel qualcuno poteva essere il padre;
- poteva essere la madre;
- poteva essere la nonna;
- poteva essere il fratellino;
- poteva essere Andreotti;
- era stato usato materiale scadente: le trivelle e le imbracature erano tutte made in China;
- speleologi e volontari si erano calati nel pozzo sbagliato;
- i vigili del fuoco soffrivano di vertigini;
- il coperchio del pozzo si era allontanato dal suo posto di lavoro senza autorizzazione;
- il proprietario del pozzo era in realtà un mommotti in cerca di bambini;
- anche Alfredino, però: chi gliel'aveva detto di andarsene a zonzo da solo per i campi?
Tutte queste ipotesi furono oggetto di scrupolosa verifica e ripetute analisi, compresi colesterolo e trigliceridi, ma un anno dopo, era il 13 giugno 1982, cominciarono i Mondiali di Spagna.
La tragedia di Vermicino si chiuse così, senza colpevoli e senza condanne. Ma lasciava ancora un discreto margine di cazzeggio cerebrale, che poté esplicarsi nel modo migliore tra le fila di coloro che pensano che un'intelligenza superiore voglia mettercelo nel culo a tutti i costi.
Tra le teorie più gettonate tra le sciure in attesa dal parrucchiere:
- Alfredino è stato gettato nel pozzo per sviare l'attenzione mediatica dallo scandalo P2;
- Alfredino era un agente nano del SISMI;
- Alfredino aveva progettato la prima auto elettrica ed è stato messo a tacere dalle grandi compagnie petrolifere;
- Alfredino non è mai esistito e si tratta di un'allucinazione collettiva, provocata nebulizzando LSD attraverso i condizionatori d'aria;
- Alfredino è entrato volontariamente nel pozzo per sfuggire alla verifica di matematica dell'indomani. Non importa che a giugno le scuole fossero chiuse.
Esiste anche una teoria che riscuote meno successo delle precedenti: l'incidente di Vermicino è dovuto solo ad una tragica fatalità, uno scherzo del destino, che non per niente viene definito cinico e baro e pertanto gli è stato precluso l'ingresso al casinò. Questa teoria non è vincente perché si avvicina pericolosamente alla verità.
Conseguenze
- Ad Angelo Licheri venne assegnata la vittoria ai punti.
- Elveno Pastorelli fu nominato capo della Protezione Civile e, per prendersi avanti col lavoro, indagato per corruzione e peculato.
- Alfredino è rimasto morto.
- Giovanni Minoli ha avuto materiale sufficiente per girare 87 puntate de La Storia siamo noi.
- Al termine della vicenda, la RAI aveva bruciato l'intero stock di fotoelettriche a sua disposizione e fuso sette telecamere.
- Ciò comportò l'ennesimo aumento del canone.
Questa è una voce di squallidità, una di quelle un po' meno pallose della media. È stata miracolata come tale il giorno 14 settembre 2014 col 44.4% di voti (su 9). Naturalmente sono ben accetti insulti e vandalismi che peggiorino ulteriormente il non-lavoro svolto. Proponi un contenuto da votare · Votazioni in corso · Controlla se puoi votare · Discussioni |