Ircocervo
Ircocervo deriva dal latino hircocervus, parola composta da hircus ("capro") e cervus ("cervo"), viene anche chiamato tragelafo, dal greco τράγοσ ("capro") e ἔλαϕος ("cervo"), o anche "A bbello de casa!" (ma solo dai suoi amici di Testaccio). Designa un animale mitologico per metà Sgarbi e per metà cervo, descritto come:
Viene inoltre precisato che è:
(o di un tizio che soffre di eiaculazione precoce e difficoltà di erezione))
Col tempo l'utilizzo letterale del termine è stato abbandonato in favore di un uso metaforico, per riferirsi a cose assurde ed irreali. È chiaro che una capra non potrà mai figliare congiungendosi con un cervo e, nel caso dei centauri, non potrà nemmeno accadere dall'unione di una donna e un cavallo, però c'è anche chi ha voluto verificare di persona[1]. Il termine è stato usato di recente in politica, di fronte alla possibilità che partiti con posizioni storicamente opposte si unissero per continuare a rub governare. Ovviamente questo non potrà mai accadere.
Tra mito e realtà
Da tutte le parti del mondo, ogni anno, giungono numerose testimonianze sull'esistenza dell'ircocervo, ma sappiamo bene che di cazzari in giro ce ne sono diversi, anche al di fuori del parlamento. Il professor Hannu Jääskeläinen, titolare della cattedra di Fisiognomica delle renne all'Università Totò Schillaci di Helsinki, è invece possibilista:
Alcuni documenti fotografici, come l'immagine a lato, sembrano dare ragione al finlandese (anche se oramai gli servirà a poco).
La questione filosofica
L'ircocervo viene citato da Aristotele nel suo De Interpretatione per rafforzare la tesi, già espressa da Platone nel Sofista, che un nome di per sé non ha valore di verità o falsità.
Lo stesso Aristotele, negli Analitici Secondi (cum contornae) utilizza l'immagine per sostenere che è possibile sapere cosa si intende con l'espressione ircocervo ma non risalire all'essenza dell'ircocervo, ovvero sapere cosa realmente sia.
Fu in seguito ripreso nel II secolo d.C. dall'autore greco Luciano di Samosata nel tentativo di dare una definizione del mimiambo di Eronda[2], spiegando che era il termine adatto per sottolineare un ibrido dalla così alta tessitura linguistica[...vabbè, ciao córe!].
L'esempio aristotelico dell'ircocervo viene magnificato da Boezio nelle sue glosse al De Interpretatione, dove lo squisito strato di zucchero alla vaniglia... ah, non erano le glasse... scusate. Ho perso il filo, un attimo che rileggo...
Boezio sottolinea come la scelta di una parola provvista di significato, benché riferita a una cosa inesistente, permette di ragionare sull'inesistenza delle categorie di vero e falso, quando applicate alla parola nella sua assolutezza e non al suo essere priva di senso. Detto questo, anche Boezio s'è guadagnato un soggiorno con trattamento "all inclusive" in un hotel 5 stelle a Fanculo.
Per contro Guglielmo di Ockham, nei suoi Scritti Filosofici, utilizza l'immagine dell'ircocervo per simboleggiare la necessità di rivolgere le proprie attenzioni al concreto e non all'astratto, cercando di spiegare la realtà con semplicità e immediatezza.
L'ircocervo oggi
Note
- ^ anche Marina Lotar era molto scettica
- ^ mi sta venendo il mal di testa