Lucio Anneo Seneca

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« Non esiste la fortuna: esiste il momento in cui il talento incontra una poderosa botta di culo »
(Dai Diares di Seneca)
« Ce n’è ancora? »
(Seneca dopo aver bevuto la cicuta)
« Questo qui l’ho educato io: vedrete che risultati! »
(Seneca su Nerone il giorno della sua incoronazione)
Seneca dopo aver saputo che i lavori di ristrutturazione per la sua villa a Capri non sono deducibili dalle tasse.
« Non fa che scrivere sciocchezze, insopportabilmente sagge, come se dovesse primum scribere, deinde philosophari. »
(Friedrich Nietzsche (La Gaia scienza) esprime il suo apprezzamento per il filosofo latino.)

Lucio Anneo Seneca è stato un filosofo, un poeta e uno scrittore, vincitore del premio Strega per ben 2 volte di seguito con i libri: Dove osano i patrizi e Fatti masturbare da un amico.

Lucio Annéo Seneca, figlio di Seneca il Vecchio, nacque a Cordoba, capitale della Seat, in un anno di non certa determinazione; la data attribuita dagli studiosi basandosi sulla sua patente è il 3 a.C., ma il padre di Seneca (Seneca il vecchio) e il nonno di Seneca (Seneca il vecchissimo) facevano i matematici e contavano il tempo frammentando la giornata in 115 intervalli da 18 minuti dividendo il tutto per 3,14. Seguendo questo sistema:

  • Seneca sarebbe nato nel 15 né davanti né dopo Cristo ma assieme a Cristo.
  • Ci si trovava un buco di 7 ore che i due matematici risolvevano brillantemente attribuendo tutto all’ira di Zeus (un ottimo modo per trarsi d’impiccio quando non si sapeva cosa cazzo dire).
  • Roma sarebbe stata fondata nel 1492 d.C.
  • la Roma sarebbe stata fondata prima di Roma.

Seneca sarebbe nato quindi in un anno imprecisato che secondo gli studiosi si può comunque collocare in maniera certa in un intervallo di tempo a cavallo tra le guerre puniche e la caduta del muro di Berlino.

La famiglia di Seneca, gli Annei, ha origini antiche ed è non originaria della Spagna, ma di immigrati siciliani, trasferitasi nella penisola iberica da Termini Imerese nel II secolo a.C.. Non si hanno notizie di esponenti della famiglia degli Annei coinvolti in attività pubbliche prima di Seneca. Il padre del filosofo, Seneca il Vecchio, era nato già anziano (la madre lo diede alla luce dopo una gestazione di 15 mesi) ed era di rango equestre, vale a dire si diede all’ippica, come attesta Svetonio nei Diares e Plutarco nei suoi Block Notes, mentre Tacito non disse nulla in proposito. Al fine di favorire l'inserimento alla vita sociale e politica dei figli nei pochi anni che gli restavano da vivere, si trasferì a Roma negli anni del principato di Augusto, dove si appassionò alla retorica, alla giurisprudenza e alla danza classica. Sposò poco prima di schiattare una donna di nome Celvia da cui ebbe tre figli:

  • il primogenito Lucio Anneo Rinnovato, che prese il nome di Lucio Giugno Gallo Anneano dopo un raptus di follia da parte dell’addetto all’anagrafe.
  • il secondogenito Lucio Anneo Seneca .
  • il terzogenito Lucio Anneo Mela che si dedicò all’ortofrutta (donde il soprannome Lucio Anneo Verza)
Nonquote contiene deliri e idiozie (forse) detti da o su Lucio Anneo Seneca.


Problemi di salute

Seneca, fin dalla giovinezza ebbe a convivere con alcuni problemi di salute: era soggetto a svenimenti e attacchi d'asma e soffriva di una grave forma di alitosi per la quale dovette a malincuore lasciare l’attività oratoria, dato che durante le sue arringhe sembrava di stare al mercato del pesce di Pozzuoli. Ciò gli provocò dispiacere, frustrazione ed anche un severo smottamento di coglioni, cosa che egli ricorda persino in una lettera:

« La mia giovinezza sopportava agevolmente gli accessi della malattia. Ma poi dovetti soccombere e giunsi al punto di non mangiare per non alitare fetido e mi ridussi in un'estrema magrezza. Spesso ebbi l'impulso di togliermi la vita, ma mi trattenne la tarda età del mio ottimo padre, che a 106 anni suonati ancora gli segnava mezzogiorno e continuava ad andare a donne. Pensai allora che è meglio avere l’alito cattivo piuttosto che non respirare affatto. (Epistulae ad Lucilium, 78, 1-2) »

E ancora:

« Ho ciatato in faccia ad un collega e l’hanno dovuto ricoverare. Sto diventando un pericolo pubblico. Appena inventano il dentifricio corro a comprarmelo. Speriamo di non dover aspettare molto. »

Seneca ricevette a Roma un'accurata istruzione retorica e letteraria, come voleva il padre, che nel frattempo aveva compiuto 110 anni e era appena stato promosso all’esame per la revisione della patente. Ebbe come maestri di filosofia Sozione di Alessandria, Suzione di Mammella Marittima, Stazione di Roccosambaccio, Papirio Fabiano, che i suoi discepoli chiamavano affettuosamente “Papiro Fabriano” e Quinto Sestio, che i suoi discepoli chiamavano affettuosamente “quel gran testa di cazzo”. Questi maestri erano i più illustri rappresentanti dell’epoca di movimenti filosofici quali il neopitagorismo, lo stoicismo, il cinismo, il nonnismo, il figacentrismo.

Seneca seguì molto intensamente gli insegnamenti dei maestri, che esercitarono su di lui un profondo influsso sia con la parola che con l'esempio di una vita vissuta in coerenza degli ideali professati (sii come l’acqua che scorre dalla montagna, sii come il vento che accarezza gli alberi, sii come quei bastardi che vandalizzano le cabine del telefono, sii come quei cafoni che bussano appena scatta il verde al semaforo). Da Sozione impara i principi dello stoicismo e l'abitudine alle pratiche ascetiche. Da Suzione, impara a succhiare il brodo dalle cannucce e a mangiare vegetariano. Da Quinto Sestio imparò come farsi rispettare dai propri discepoli per non fare la sua stessa fine. Nel 31, dopo essere tornato da un viaggio in Africa (che gli valse il soprannome di Lucio Anneo Senegal) vinto collezionando i tappi della birra, iniziò l'attività di oratore (interrotta per i motivi che sappiamo) e la carriera politica divenendo dapprima questore e poi addirittura un membro del Senato.

Vivere da senatore

Il puledro Guglielmo si reca in Senato.

A Roma nell’epoca dei romani per far parte del Senato avevi 2 possibilità:

  • essere un senatore
  • essere un cavallo: Incitatus, il cavallo di Caligola, governò saggiamente per 11 anni meglio del suo padrone ed alla sua morte il suo posto in Senato venne preso dal figlio, il puledro Guglielmo.

Seneca, essendo già nato uomo non aveva altra scelta che studiare e provare il concorso di senatore, cosa difficile da fare: si pensi che al bando di concorso del 35 d.C. risposero 2307 candidati per 12 posti disponibili. In effetti quello di senatore era, assieme a quello di imperatore, il posto di lavoro più ambito. Un senatore poteva:

  • interloquire direttamente con l’imperatore
  • partecipare direttamente alla vita politica del proprio paese.
  • entrare nei ristoranti senza pagare il conto
  • prendere treni ed aerei senza pagare il biglietto
  • farsi una villa sulla scogliera, deturpare il paesaggio ed insabbiare tutto con un condono
  • assistere alle partite della Roma in tribuna VIP, accanto al palchetto dell’imperatore
  • avere credito infinito presso tutti i lupanari della capitale
  • parcheggiare dappertutto, compreso nei posti riservati ai portatori di handicap e di handycam
  • pronunciare frasi assurde e prive di logica del tipo: “lei non sa chi sono io!” oppure “il Senato è l’anima di Roma!” o ancora “Mario Giordano è un giornalista obiettivo!”.
    Il Senato romano in un momento di febbrile attività.

Inizialmente Seneca si piazzò 984esimo, ma un’improvvisa epidemia di peste dimezzò la popolazione di Roma di dieci quinti, facendo scorrere vertiginosamente la graduatoria. Seneca si ritrovò così al quarto posto nel giro di una settimana. All’epoca delle pestilenze colpi di scena così erano piuttosto frequenti e potevi ritrovarti generale di un esercito senza nemmeno sapere la differenza tra un gladio pompeiano ed un cucchiaio da brodo.

Una volta ottenuto l'agognato posto di lavoro e assicuratosi lo stipendio a fine mese le sue abilità gli procurarono la stima di molte donne che frequentavano la corte imperiale di Caligola: Giulia Livilla, Agrippina, Eva Henger e Anita Blond. Tuttavia alcune foto compromettenti scattate dal paparazzo imperiale Fabricius Corona lo misero seriamente nei guai. Seneca cercò di difendersi in Senato ma l’avere un alito pestilenziale non lo aiutò di certo agli occhi dell’imperatore che sentì un fetore talmente nauseabondo che pensò di essere riuscito nell'ardua impresa di pestare una merda su ambo i sandali. Caligola quindi ordinò per lui l’esilio e dei gargarismi con l’acquaragia, da farsi due volte al giorno. Seneca venne quindi relegato a Riccione finché la stessa Agrippina che aveva contribuito allo scandalo decise di dare una mano al povero oratore, richiamandolo per far da tutore al figlio, un certo Nerone.

Il ritorno a Roma e l'ascesa di Nerone

Alla età di quasi 50 anni Seneca ebbe la sua seconda occasione e rientrò dunque nella politica attiva; così, affiancato da Afranio Burro (figlio di Wolframio Strutto), prefetto del pretorio, curò l'educazione del futuro imperatore. Seneca gli insegnò:

  • a leggere
  • a scrivere
  • a far di conto
  • a trattare delle importanti questioni dell’Impero con la disinvoltura con cui si sceglie che mutande indossare la mattina.
  • ad usare il pc e a scaricare i file musicali da Internet
  • a guidare lo scooter
  • a rollarsi una canna
  • a giudicare gli uomini dalla apertura delle loro menti e le donne dall’apertura delle loro cosce
  • a sapere la differenza tra la marijuana e il prezzemolo
  • a sapere la differenza tra la Coca cola e la Pepsi
  • a suonare il basso

Seneca accompagnò l'ascesa al trono del giovane Nerone e lo guidò durante il cosiddetto periodo del buon governo ovvero di quel periodo in cui Nerone costruì autostrade, scuole, la TAV, promise un milione di posti di lavoro e progettò la creazione di un ponte sullo Stretto di Messina che avrebbe dovuto attuarsi in breve tempo. Progressivamente tale rapporto si deteriorò e, verso il 62, Nerone cominciò ad emanare leggi discutibili come il Lodum Schifanis, la Lex Salva Previs, la Lex depenalizzazionis falsum in bilancio, la Lex Gasparri (dal nome del senatore romano Gasparrus) cum decretum salva Retis Quattuor. Durante la proclamazione di tutte queste leggi ad personam Seneca si vide declassato ogni giorno di più. Passò progressivamente dal ruolo di mentore di Nerone a:

  • vice consigliere
  • vice vice consigliere associato
  • pseudo consigliere di facciata
  • portaborse
  • porta lettiga
  • bidello
  • lavapiatti
  • trombetta umana da campo (in assenza di trombe negli accampamenti militari alla vista di Nerone doveva gridare: PEPPEREPPEPPEPPÈÈÈÈÈÈ- in piedi, c’è l’imperatore!)

Arrivato al gradino di trombettiere umano Seneca decise che poteva bastare e si licenziò senza pretendere neanche la liquidazione (che tanto non gli avrebbero comunque dato) e dedicandosi ai suoi studi di ornitologia e di danza del ventre.

La condanna a morte

Un bel giorno di ottobre, quando i suoi neuroni erano ormai in sciopero da un pezzo, Nerone si svegliò con l'idea di riformare tutto il suo staff di assessori e consiglieri e mentre ai giorni nostri le giunte si sciolgono e si ricreano licenziando ed assumendo nuovi collaboratori, ai tempi dell’antica Roma c’era un sistema molto più sbrigativo per sistemare la faccenda in poco tempo: quello di uccidere tutti i membri di una giunta. Eh, la politica: gioie e dolori!

Così nel 59, dopo aver ucciso sua madre di paura mettendole davanti uno specchio e il prefetto Burro sciogliendolo in padella, Nerone non aspettava che un pretesto per eliminare anche Seneca. L’occasione si presentò di lì a poco: il filosofo infatti non aveva pagato 2 bollette della luce di 8 mesi e mezzo fa e questo nelle more delle more aveva fatto crescere la sua ammenda da 100 a 200 a 3000 sesterzi fino alla condanna a morte. Ebbene sì: purtroppo nell’antica Roma se non pagavi le bollette erano cazzi acidi. Ma Seneca che oltre ad essere un abile retore era un avvocato con le palle riuscì a dimostrare che l’importo di quelle bollette era sbagliato e rilanciò citando l’Impero romano per falso. Nerone, manco a dirlo, si incazzò moltissimo e promise tra sé e sé (e sé e sé e sé, perché Nerone aveva un ego smisurato) che un modo per sistemare Seneca l’avrebbe trovato. Cosicché era sempre in attesa che il povero sventurato sgarrasse per poterlo finalmente punire. I pretoriani di Nerone seguivano il povero Seneca praticamente dappertutto: all’uscita dal supermercato gli controllavano lo scontrino, sulla metropolitana verificavano la validità del biglietto e sull’autostrada era fermato di continuo per la verifica di patente, libretto di circolazione e del triangolo di emergenza. Seneca, manco a dirlo, aveva addosso un’apprensione continua: vivere così non era per niente facile. Sottoposto ad una pressione simile la tanto attesa infrazione arrivò: un giorno Seneca per arrivare presto in Senato passò ad un semaforo pedonale col rosso. Venne ovviamente subito fermato, processato e condannato in 2 ore (nell’antica Roma il sistema giudiziario funzionava molto velocemente dato che gli avvocati erano considerati illegali). Per il passaggio con semaforo rosso la pena era stranamente molto blanda (era previsto il taglio delle unghie dei piedi) ma Nerone fece subito trasformare la legge a tempo di record, inserendo in caso di infrazione la pena di morte. Il folle imperatore ottenne così in un colpo solo un doppio risultato:

  • Seneca venne condannato a morte
  • nessuno in tutta Roma passò mai più col rosso, e perfino i moscerini presero a fermarsi ai semafori.

Arrivò dunque il giorno della condanna. L’imperatore nella sua cazzimmosa magnanimità fece scegliere a Seneca il modo di porre fine alla propria vita e la mattina del 16 marzo del 65 d.C., alle 3 del pomeriggio, fece recapitare all’anziano oratore la seguente missiva, da lui stesso scritta:

« Caro Seneca,

è il tuo giorno fortunato! Oggi infatti ho magnanimamente deciso di farti morire. Scegli tu come, basta che ti levi dalle palle. Prima di ammazzarti lascia le chiavi di casa alla portinaia. Cerca di fare una cosa rapida.

Buona giornata! Firmato

Nerone. »

Onorato dal fatto che l’imperatore si fosse degnato di scrivergli righe così sentite, Seneca iniziò a mettere in atto il progetto suicidio fin da subito. Nell’ordine provò a :

  • buttarsi dal balcone, ma abitava al primo piano e si sbucciò solo un ginocchio.
  • tagliarsi le vene, ma Seneca aveva un fibrinogeno così alto che il sangue nei suoi vasi sembrava colla vinilica e ci potevi riparare gli oggetti meglio della superAttak.
  • trafiggersi con un oggetto appuntito, ma in casa c’erano solo gli stuzzicadenti e richiedeva davvero troppo tempo ammazzarsi così.
  • respirare il gas, ma in casa c’era la cucina a carbone.
  • impiccarsi, ma l’unica trave disponibile era già occupata da un suo servo che aveva deciso di morire per fatti suoi personali lo stesso giorno di Seneca (allora il suicidio era molto di moda).

Infine trovò l’opzione che faceva al caso suo: avvelenarsi. Così strappò dal suo giardino una piantina di canapa ed una di cicuta da cui ottenne rispettivamente la sua ultima canna ed il veleno che lo avrebbe fatto morire.

Seneca chiede un'ultima sveltina prima di morire

I suoi discepoli però, troppo sconvolti all’idea di veder morire il proprio maestro sostituirono furtivamente il bicchiere di cicuta con un bicchiere di chinotto e Seneca non si accorse di nulla, anzi pare che abbia aggiunto:

« Buona 'sta cicuta. Ce n’è ancora? »

Frattanto passavano le settimane e Seneca si accorse con stupore di non essere ancora morto. Nerone non ebbe il tempo di accorgersene e di incazzarsi anche per questo perché era troppo preso a sfuggire agli attentati che gli facevano da quando si alzava la mattina (col cianuro nei Pan di Stelle) fino a quando si andava a coricare la sera, a volte perfino quando si recava in bagno (con i piranha nell’acqua del cesso). Ormai era riuscito a farsi schifare da tutti ed era così odiato e inviso da tutta Roma che una sera persino il gatto dei vicini tentò di sorprenderlo nel sonno. Braccato anche dai suoi pretoriani nel 68 d.C. Nerone decise di ammazzarsi col Baygon. Frattanto erano passati 4 anni e Seneca ancora aspettava di morire. Nelle sue Epistulae ad Pasqualem scriveva di aver capito due cose da tutta questa vicenda:

  • che per fare l’imperatore è necessaria fermezza, saggezza, e temperanza
  • che la cicuta è un veleno di merda

Frattanto, morto Nerone, la pena di Seneca venne commutata di nuovo nel taglio delle unghie dei piedi, cosa di cui Seneca aveva francamente bisogno.

Ultimi anni di vita

Seneca trascorse la vecchiaia intrecciando canestri di giunco e giocando a carte nel bar sotto casa sua. Morì nel 78 d.C., a 82 anni suonati. Le sue ultime parole furono:

« finalmente 'sta cazzo di cicuta ha fatto effetto! »

Opere

Le Epistole

Seneca era convinto che agli altri gliene fregasse qualcosa di ciò che faceva durante la giornata, per cui inviava lettere praticamente a chiunque. Ricordiamo:

  • Le epistulae ad Lucilium
  • Le epistulae ad Pasqualem
  • I messagges ad Alfonsum
  • Le mailes ad Samantham
  • Gli SMSem ad Federicam

Le tragedie

Le tragedie ritenute autentiche sono nove, ma qui ne citeremo solo sei perché non siamo su Wikipedia.

  • L'Hercules furens è costruito sul modello dell'Eracle euripideo: Giunone ruba l’autoradio di Ercole, provocando la follia di quest’ultimo, che uccide moglie e figli. Una volta rinsavito, determinato a suicidarsi, egli si lascia distogliere dal suo proposito e si reca infine ad Atene a purificarsi. E a farsi dare un’altra autoradio.
  • La Medea narra la cupa vicenda di una casalinga frustrata nel Varesino che lotta per riavere la custodia dei figli, avuti in un momento di insanità mentale dal puttaniere Giasone, che l’ha sedotta e abbandonata con la promessa di farle fare un provino come co-conduttrice per Buona Domenica.
  • La Fedra si limita a parlare delle caratteristiche tecniche della nuova ammiraglia della Lancia.
  • L'Oedipus narra il mito di Edipo, che accoppa il padre Laio e si porta a letto la madre Giocasta. Vinto dal rimorso per questi insani gesti si taglia le palle, per poi scoprire solo in seguito che la morte del padre era tutta una messinscena e di trovarsi in un reality show. La tragedia si conclude con Edipo che cerca di riattaccarsi gli zebedei con una spillatrice. Esiste anche una versione più lunga di 120 minuti in cui Edipo spiega alla Sfinge la ricetta segreta della crostata di pinoli.
  • Il Thyestes rappresenta una vicenda mitica già trattata in opere perdute di Sofocle, Euripide e Luciano de Crescenzo. Atreo, figlio giudeo di un marinaio del Pireo, animato da odio mortale per il fratello Tieste, che gli ha ciulato la sposa durante il filmino delle nozze, si vendica con un finto banchetto di riconciliazione in cui imbandisce al fratello ignaro le carni dei figli. Tieste a sua volta si vendica di Atreo sostituendo le pillole anticoncezionali della moglie con una scatola di Tic Tac. La tragedia si conclude con Tieste che cerca di oltrepassare la frontiera del Messico con la donna di Atreo, inseguito da Atreo e dai suoi 16 figli.

Le Naturales quaestiones

Sviluppate in forma di enciclopedia, le Naturales quaestiones, sono state composte nell'ultima parte della vita di Seneca. L’oratore romano impiega ventisette libri e 412.717 pagine per parlarci di surriscaldamento globale, buco dell’ozono ed effetto serra. Purtroppo l’opera è giunta a noi praticamente intatta così non possiamo saltarci neanche un rigo delle sue interessanti dissertazioni in cui il filosofo si stupisce che d’estate faccia caldo e d’inverno freddo, proprio come Emilio Fede durante il suo Tg. Altri argomenti trattati sono:

  • Lampi e folgori
  • Le acque terrestri
  • La neve, la pioggia, la grandine
  • Gli tsunami e i tornado
  • I più famosi disastri aerei
  • Le 35 più famose pesate della boxe

Voci correlate

Questa è una voce di squallidità, una di quelle un po' meno pallose della media.
È stata miracolata come tale il giorno 17 agosto 2008 col 60% di voti (su 10).
Naturalmente sono ben accetti insulti e vandalismi che peggiorino ulteriormente il non-lavoro svolto.

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