Il pene d'ebano è una creatura leggendaria che si trova in molti racconti dell'Africa occidentale.
Origine della leggenda
L'animismo tradizionale africano sostiene che la vita sulla terra sia stata generata da Madre Natura ingravidata dal seme fuoriuscito da un immenso pene d'ebano, il legno più duro che esista. Una divinità malvagia chiamata goldone avrebbe tentato di impedire che madre natura rimanesse incinta poiché era invidiosa della potenza del pene. Allora il pene avrebbe detto al goldone "Mi è scivolata la saponetta, me la raccoglieresti?", sconfiggendolo e facendo trionfare la vita sulla morte.
Ancora oggi in molti villaggi africani ci sono sculture raffiguranti il pene d'ebano considerate protettrici della fertilità delle donne del villaggio. Se ad esempio una donna non riesce ad avere figli va a prostrarsi di fronte alla statua, toccandola e baciandola, dopodiché venti ragazze vergini danzano attorno al pene per tutta la notte.
La spedizione di Giorgio e Piero
Nel 1831 due esploratori inglesi, George Peterson e Peter Griffin (nomi italianizzati in Giorgio Pietrofiglio e Piero Grifone), si avventurarono nella foresta del Congo per appurare se il pene d'ebano fosse solo una leggenda locale o ci fosse un fondo di verità nei racconti. Le loro peripezie sono raccontate nel romanzo autobiografico "Due culi e una cappella" (titolo originale inglese "The legend of woodcock").
Poco dopo il loro arrivo in Congo i due esploratori capirono che era ancora un paese selvaggio e inospitale.
« Era un luminoso pomeriggio d'aprile e i due giovani Giorgio e Piero si incontrarono nella radura di Sherwood: i ragazzi subito incrociarono i loro peni in segno di reciproca stima. Quando, sui loro visi stupefatti, si dipinse lo stupore: uno dopo l'altro si accorsero di avere dietro di loro Lady Marian. La ragazza emise subito un forte e squassante peto quando iniziò a correre, rossa in volto e i due ragazzi udirono un peto dietro l'altro ... sempre più forte ... e capirono di essere caduti in una trappola. »
("Due culi e una cappella", capitolo primo)
I due esploratori vennero fatti prigionieri da una tribù africana di petomani che li relegarono nelle proprie segrete: solo l'intervento di un pigmeo poté salvarli da una orrenda fine.
« Il luminoso pomeriggio d'aprile era ormai terminato, quando Giorgio e Piero si risvegliarono imprigionati nelle segrete. Per farsi coraggio si inserirono vicendevolmente il pene nell'ano, quando a un tratto videro un piccolo soldo di cacio avvicinarsi. Era il nano Gurth, che sbuffando dalle enormi froge li liberò: per sdebitarsi, i due gli regalarono un tozzo di pane e un piccolo crogiuolo. "Potrai forgiarci ciò che vuoi", gli dissero. Una festosa salva di peti salutò la loro partenza ... "Ma dove andrete ?", domandò Gurth. "Andremo alla ricerca del pene d'ebano". »
("Due culi e una cappella", capitolo secondo)
Giorgio e Piero vennero aiutati nella loro spedizione da un gigante watusso incontrato per caso.
« Durante il loro cammino alla ricerca del pene d'ebano i due giovani virgulti si divertivano giuocando tra loro utilizzando il dito indice a guisa di spada e sfidandosi a duello. Poi, al calare della sera, si sedettero a riposare sotto un frondoso sicomoro. Il loro riposo venne però interrotto da una serie di colpi sempre più forti, tanto da far sobbalzare il terreno! Erano dei passi, mescolati a una voce garrula che spazzava via qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. D'un tratto gli si parò davanti una tronfia e ben pasciuta figura: era il gigante Ganassa, da tutti temuto per aver distrutto interi villaggi a furia di vanterie. "Io so dove si trova il pene d'ebano", disse l'obeso fanfarone,"ma dovrete fare ciò che vi dirò io."
I due annuirono e si incamminarono verso il bosco, dandosi tra loro dei piccoli ma simpatici calcetti nelle terga, lieti di aver trovato un nuovo amico. »
("Due culi e una cappella", capitolo decimosesto)
La compagnia si avventurò nelle profondità della foresta del Congo, sfidando perigli e trappole. Avendo terminato i soldi, Giorgio fu costretto da Piero a prostituirsi nei villaggi che incontravano: una volta raccolta una somma sufficiente ripresero le loro ricerche.
« Giorgio, Piero e il loro flaccido amico, il gigante Ganassa, camminarono a lungo nel reame di Baalaal, finché arrivarono all'entrata di una tetra caverna. "È qui che è custodito quello che cercate" disse il gigante, " ma per arrivarci dovremo superare delle dure prove". Prima di entrare, come rito propiziatorio, decisero di sfoderare le loro svettanti alabarde e di giuocare al giuoco del legnaiuolo, prendendosi scherzosamente a colpi di glande. Una voce uscì minacciosa dalla caverna dicendo "Salute a voi, amici, ovunque voi siate". Appena entrati le tenebre li avvolsero subito rischiarati dalla luce proveniente da una grossa scatola. Allora Giorgio si fece avanti "Salute a te, straniero, noi siamo qua: puoi tu dirci dove si trova il pene d'ebano?" ma ottenne in risposta "Salute a voi, amici, ovunque voi siate". Allora Piero provò a ripetere "Sì, ma dove si trova il pene d'ebano, straniero?" ma la risposta fu sempre "Salute a voi, amici, ovunque voi siate". Era l'oracolo metereologico che dava indicazioni ai viandanti. Giorgio decise perciò di prendere in mano la situazione "Non vi inquietate, compagni, forse ho un'idea: seguitemi!". I tre si inoltrarono nella caverna, incuranti delle parole dell'imbelle oracolo, che in lontananza continuava a ripetere "Salute a voi, amici, ovunque voi siate". »
("Due culi e una cappella", capitolo settantesimoquinto)
Terribili prove attendevano i membri della compagnia nell'oscura caverna.
« Proseguendo nel loro cammino i nostri eroi si imbatterono in una nube di tarzanelli mortali, che li aggredirono lanciandosi sulle loro minuscole liane. Solo la proverbiale aerofagia del vanitoso gigante riuscì a spazzar via la minaccia, ma subito se ne presentò un'altra, più subdola ma altrettanto pericolosa. Addormentato su di un trono sedeva russando un petofono gigante, il quale, se svegliato, avrebbe fatto dei tre un sol boccone. I tre, in punta di piedi e con in mano i loro fetidi calzari, riuscirono a passare indenni e si ritrovarono finalmene nell'ultima sala: la sala del pene d'ebano. L'eburno manganello riluceva sopra un altare di alabastro, tempestato di gomma pane. I tre tornarono al castello di Lady Marian lieti e giocosi, percuotendosi tra loro con il nero pistolone. La donzella, rossa in volto, li ringraziò con un timido peto. "Grazie" disse avvitando l'oscuro bastone sul corpo del nano Gurth, che si trasformò nel principe Foffo, nobiluomo imprigionato da un incantesimo: "Ora potremo finalmente unire il mio pene d'ebano con la vagina d'avorio di Lady Marian. Grazie, piccoli amici dell'amore" disse Foffo, e gli donò dieci luigi d'oro. I tre, felici e ormai amici per la pelle, decisero di tornare ai loro villaggi oltre la foresta di Baalaal, festeggiando e facendo tra di loro l'allegro trenino dell'amore. »
("Due culi e una cappella", capitolo millemillesimo)
Da notare che Foffo in dialetto swahili si pronuncia Mandingo, che sarebbe quindi, secondo il resoconto dei due esploratori inglesi, portatore del sacro pene d'ebano.
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