Primavera di Praga
La Primavera di Praga cade dal 21 marzo al 21 giugno di ogni anno, ed è una delle quattro stagioni del calendario Pirelli cecoslovacco, rappresentata generalmente con una donna nuda che si scopre il seno. Peccato che i cechi sappiano leggere solo il Braille.
Con il termine Primavera di Praga tuttavia, si è soliti fare riferimento agli avvenimenti che occorsero in Cecoslovacchia nel 1968, quando le truppe sovietiche del Patto di Varsavia repressero la Riforma Botanica di Dubček e riportarono l'inverno nel paese.
Ricordata (da chi?) come uno dei momenti più bui della Guerra Fredda, ma anche come uno dei periodi più luminosi delle contestazioni giovanili, non riesce proprio a mettere d'accordo gli storici.
La Cecoslovacchia sovietica
Dopo la prima guerra mondiale 2, la Cecoslovacchia (che non si chiamava Cecoslovacchia, ma solo Cecoslòv) venne occupata dall'Armata Rossa e trasformata in uno dei satelliti nell'orbita del Pianeta Soviet ☭.
Culturamente parlando, il paese era diviso in tre aree: gli slovacchi ad est, i cechi ad ovest e i miopi al centro. A tenerli uniti c'erano il Partito Comunista Sovietico e le prestazioni orali delle slovacche. I filmati della propaganda stalinista e i porno amatoriali descrivono il paese come una rossa terra di cuccagna, dove scorrono fiumi di birra e il comunismo non è motivo di ilarità; ma la verità è che i cecoslovacchi non avevano nemmeno i soldi per comprare i sassi.
Nonostante gli aiuti economici provenienti dal Malawi o dalla più ricca Tanzania, la Repubblica cecoslovacca rifiutò[1] per anni ogni forma di soccorso, convinta che esportando semolino e buon senso avrebbe un giorno risollevato l'economia.
L'abolizione delle stagioni e la Riforma Botanica
Nell'ambito del progetto Guerra Fredda, per surgelare il mondo e raffreddare il capitalismo, nel 1961 i comunisti russi avevano deciso di abolire le stagioni nell'Europa dell'est, e riunire tutti i giorni in un'unico grande ciclo: l'inverno.
Proprio come teorizzato nel breve "Opuscolo meteorologico", allegato all'edizione illustrata di Das Kapital[2] dei fratelli Marx, le mezze stagioni sono un lusso borghese e solo il freddo inverno russo può giovare alla tempra dell'operaio.
A seguito di questa gelida riforma - estesa a tutti i paesi orientali - l'anno sovietico venne suddiviso in 12 mesi, tutti chiamati ottobre. Mentre nel corrotto agosto borghese si ozia al sole, a Praga si festeggia la Rivoluzione e si mangia la neve.
Come comprensibile, la soppressione delle stagioni è devastante per i campi e le coltivazioni dell'Est, dove, a differenza della Siberia, non vengono coltivate soltanto patate e tuberi rossi. Una coltre di fredda neve ricopre mezza Europa, le mondine si trovano disoccupate, e solo il sindacato dei pupazzi di neve ne gioisce.
All'inizio del 1968 tuttavia, cambia completamente la prospettiva bolscevica, quando viene "eletto"[3] Alexander Dubček segretario del Partito Alieno-Comunista cecoslovacco. Dubček inaugura un nuovo corso di riforme: "il Comunismo dalle sembianze umane". La riforma più importante è quella del calendario: in sostanza, dal mese di ottobre 3[4] al mese di ottobre 6[5] veniva temporaneamente abrogato l'inverno e introdotta una nuova stagione, la Primavera. La temperatura sarebbe salita di diversi gradi e Praga si sarebbe riempita di fiori, le vagine degli alberi.
Pur non rinnegando il comunismo, Dubček smantella di fatto l'apparato meteorologico sovietico, facendo rivoltare nella tomba, di almeno 180°, il vecchio Groucho Marx. I Praghesi si riversano euforici nelle strade, ancora tutti in tenuta da sci, e se non si fossero spogliati sarebbero veramente crepati dal caldo.
La reazione dell'URSS
Comprensibilmente, non si fece attendere una severa condanna da parte dell'Unione Sovietica.
Negli anni '60, detentore del supremo proletario potere era il compagno[6] Leonid Breznev, un uomo talmente colto, che probabilmente aveva ancora il cervello impacchettato nel celophan. Nè lui, nè gli altri vertici del Patto di Varsavia avevano mai approvato l'operato di Dubček, giudicato "troppo democratizzante". L'abolizione del freddo invernale, tuttavia, fu lo sputazzo che fece traboccare il vaso.
Il 1 giugno, Breznev riunisce i gerarchi del PCUS per risolvere la situazione in Cecoslovacchia; deve scegliere una tra le seguenti alternative:
- Lasciar perdere l'accaduto
- Recarsi in Cecoslovacchia per una missione diplomatica
- Chiedere a Dubček di rivedere le sue posizioni
- Invadere militarmente Praga e fare una strage!!!
Evidentemente il cervello incelophanato di Breznev era anche abbastanza piccolo da poter essere incartato in un coriandolo, dal momento che scelse la più sciocca delle soluzioni, senza voler sentire troppe repliche. E vi assicuro che se scelse la quarta non è perché era scritta in corsivo.
Oddio, alcuni cronisti sostengono che, prima dell'invasione, dalla Russia siano effettivamente partiti alcuni avvertimenti a Dubček perché abrogasse le sue riforme; ma che questi siano rimasti inascoltati. Fonti tuttavia poco enciclopediche, dato che Dubček era ceco... ma che fosse anche sordo sembra un po' improbabile!
L'invasione di Praga
Il 20 agosto[7] 1968 un numero fra i 200 e i 500 mila soldati, vabbè comunque tanti, del Patto di Varsavia entrano in Cecoslovacchia senza colpo ferire. E non fu molto difficile eludere le vedette ceche. I mezzi corazzati sovietici entrano a Praga in mattinata, e la cittadinanza intera si riversò in piazza. Come prevedibile, nella città non era presente alcun giornalista occidentale,[8] fattostà che le uniche fonti attendibili per descriverci l'accaduto sono quelle del KGB, secondo cui i cittadini celebrarono in trionfo i liberatori sovietici. Offrirono vitto agli amici russi, calpestarono gli odiati fiori primaverili e non lanciarono sassi contro nulla. Cori tipo «Viva la Rivoluzione russa del 1917!» o «Forza Rubin Kazan!» echeggiarono tutta la notte.
Morirono comunque un centinaio di persone.
Un vero mistero fu quello che capitò ad Alexander Dubček: fino al giorno prima governava bello pimpante il paese, quando la notte del 20 agosto, in pieno attacco, si presentarono a casa sua alcuni soldati russi, i quali dissero alla moglie di essere amici e che suo marito usciva un attimo a comprare le sigarette. Dubček sparì nel nulla.
Riapparve un mese dopo, mentre scendeva da un blindato targato "CCCP Ленинград 001", ed esibiva un grosso foro a lato del cranio. Le sue uniche dichiarazioni furono:
Qualcuno disse di averlo visto vivo anche il giorno successivo, ma probabilmente no.
Epilogo
Nel giro di qualche giorno, a Praga torna l'inverno e i soldati dell'Armata affiggono ovunque manifesti con scritto «Come se nulla fosse successo». Nonostante i tentativi del KGB di insabbiare l'accaduto, e spacciare l'intervento armato per un'esercitazione militare, la reazione internazionale è di totale sdegno.
Qualche buontempone lasciò che Breznev commentasse l'accaduto:
Chissà se si rendeva conto che, da qualche parte, stava privando un villaggio del suo idiota.
È doveroso aggiungere[citazione necessaria] che l'unica nazione del Patto di Varsavia a non intervenire militarmente contro la Cecoslovacchia fu la Romania. Non perché fossero più gentili, ma perché non avevano i soldi per comprare la benzina.