Ratto delle sabine

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Il ratto delle sabine.

Il ratto delle sabine era una gigantesca pantegana dell'VIII secolo a.C.

Il mito

Racconta Tito Tizio, storico romano di età anziana, che Roma, dopo la fondazione, era occupata solo da Romolo e da un coacervo di banditi, assassini, tamarri e tassisti. Mancava però qualcosa che tenesse occupate tutte queste persone dal commettere frodi e reati. In particolare, i romani misero gli occhi sulle sabine, le donne del popolo dei sabini, che vivevano tra l'alto Tevere e il resto del mondo. In realtà le donne sabine erano decisamente brutte: erano basse e tarchiate, avevano poche tette, incisivi sporgenti, naso a pippa e peli sulla schiena. Complessivamente sembravano dei koala giganti, ma in compenso erano molto simpatiche e cucinavano bene.

L'idea

Romolo allora progettò un attentato: organizzare dei giochi a cui invitare anche i sabini e rubare il famoso "ratto delle sabine", un gigantesco roditore mascotte ufficiale dei giochi sabini. In conseguenza del furto, i sabini sarebbero andati alla ricerca della loro mascotte lasciando le donne incustodite, di modo che i romani avessero via libera per fare le loro cose zozze. E così fu. Durante il lancio del cancellino, i sabini trovarono all'interno degli spogliatoi un biglietto lasciato dal ratto:

« Agliuto, sono stato ratto!,! »

I sabini allora suonarono l'allarme e si precipitarono tutti in cerca dell'enorme zoccola, lasciando le donne a badar casa. I romani allora si fiondarono sulle sabine e, dopo un estenuante corteggiamento, riuscirono a concupirle. Dopodiché, se ne ritornarono soddisfatti nella loro città a rubarsi e truffarsi a vicenda.

Dopo 9 mesi, le sabine tornarono a Roma con tanti bambini in braccio, tutte accompagnate dai loro padri incazzati come poiane. I genitori sabini costrinsero i romani a sposare le loro figlie, cosicché fu fondata la società romana e finalmente fu trovato qualcuno che mantenesse pulita la città.