Riccardo Ferri
Riccardo Ferri (Crema, 2 palline con panna montata, grazie) è un ex calciatore di caviglie italiano, attualmente riciclatosi come opinionista in trasmissioni calcistiche di quart'ordine e televenditore d'idropulitrici a fango.
Valente difensore, abilissimo nella marcatura sia a uomo che a fuoco nonché insuperabile nei contrasti aerei, a terra e subacquei, è stato tra i giocatori più temuti della sua epoca dagli attaccanti avversari e da Walter Zenga.
Gioventù
Riccardo, chiamato Riccardone dalla nonna, Ferri II o Ferri 2.0 - reloaded dalle figurine Panini, Quello là dagli amici e Ehi, campione! da chi vuole pigliarlo per il culo, nasce da una famiglia di grandi sportivi: il fratello Giacomo giocò infatti a lungo in Serie A nel Torino, la sorella divenne allenatrice di pallafica mentre la madre era una campionessa di salto sull'asta. Il nome più noto della famiglia era tuttavia il padre, un vero asso nella caccia al nusbari, disciplina nella quale ottenne numerose medaglie, specialmente paralimpiche, dal momento che preferiva sparare a quelli in sedia a rotelle.
Avendo ricevuto in dono cotanto DNA, Riccardo non poté che cimentarsi a sua volta in attività ludiche, forte di un fisico atletico e poderoso, ma a dispetto di numerosi tentativi nelle più svariate specialità si ritrovò ben presto a dover fare i conti con l'amara realtà: era più incapace lui ad imparare una qualsivoglia abilità tecnica che Vasco Rossi a concepire un testo di senso compiuto.
Inizialmente tentò con la pallacanestro, ma venne scartato a causa delle sue modeste capacità: per quanto si sforzasse, infatti, non riusciva mai a palleggiare senza farsi rimbalzare la palla in faccia. Ancora peggiori furono poi i suoi risultati nei tuffi, dove il suo promettente avvenire venne pregiudicato dalla tendenza ad inciampare sul suo stesso costume, e non andò meglio nemmeno nel golf: nel completare una sola buca finì infatti per dissodare buona parte del campo, fatto che fece sì che la sua dinamica di tiro fosse a lungo analizzata per progettare alcuni prototipi di motozappe.
Preso infine atto della sua inettitudine, il giovane Riccardo appese al chiodo le proprie disilluse velleità sportive: per un breve periodo fu sul punto di ripensarci, prima che il padre lo facesse tornare sui suoi passi e appendesse al chiodo lui. Trovò quindi impiego presso una stireria, dove in breve tempo fu in grado di ottenere pieghe impeccabili sui pantaloni col solo utilizzo dei piedi.
La svolta
Mentre al nostro il successo sportivo sembrava più irraggiungibile di un concetto per Maurizio Gasparri, la carriera del fratello procedeva speditamente: il talentuoso[citazione necessaria] Giacomo infatti era titolare nell'Albinoleffe che stava dominando il campionato di Football Manager e iniziava ad essere contattato da squadre di serie A. Tra le prime ad interessarsi a lui ci fu il Milan, che lo convocò per un provino, al quale lo accompagnò proprio Riccardo. Il padre, infatti, era andato a portare all'ospedale la sorella, che si era accidentalmente recisa il labbro inferiore destro mentre si radeva con il Magic Harry.
I fratelli Ferri si presentarono dunque a Milanello, dove presenziava nientemeno che Nereo Rocco, che a 78 anni era ancora nello staff tecnico dei rossoneri e non voleva saperne di andare in pensione, anche perché non gli avevano mai pagato i contributi. Il Paron salì gli scalini verso la tribuna tra due ali di tifosi che lo sgambettavano ripetutamente, firmando autografi in cambio di un bicchiere di merlot e incoraggiando le giovani promesse con dei calorosi "Va in mona, bocia!". La partita però tardava a cominciare, poiché uno dei ragazzi si era slogato una spalla nel tentativo d'infilarsi il fratino e non si riusciva a trovare un rimpiazzo per giocare l'incontro a uomini pari, finché Giacomo per aumentare le proprie chance non propose di completare i ranghi gettando nella mischia il fratello.
Riccardo fu il primo ad essere sorpreso dalla chiamata, dato che l'unico oggetto che aveva preso a calci prima di allora era lo spigolo del suo comodino, e per accelerare i tempi disputò il provino con la stessa mise con cui era arrivato: calosce bucate e incrostate di guano, salopette da lavoro, cappellino di Pluto con le orecchie e una maglia taroccata di Gianni Rivera, del tutto analoga all'originale tranne per le righe viola e verdi e il numero 48 sulla schiena.
Prevedibilmente, lo sprovveduto fratellino andò in evidente difficoltà fin dal primo minuto, dato che in mezzo ad alcuni tra i giovani più promettenti della penisola si sentiva fuori luogo come un tampax infilato nelle orecchie. Inoltre faticava tremendamente a stare in piedi, con quella tenuta di gioco e soprattutto con quei piedi. Durante la prima pausa di gioco si avviò gattoni a bordo campo per chiedere consiglio a Rocco che, dopo averlo mandato vigorosamente in mona e stordito con un'alitata da merlot poco meno potente del raggio laser di Ciclope, gli rispose col suo celebre motto:
E fu così che avvenne il miracolo. Caricato da queste parole, Riccardo prese a spazzare il campo in lungo e in largo, alla spasmodica ricerca di oggetti semoventi da colpire, con un'abnegazione e un'intensità che non scemarono nemmeno quando si accorse che c'era un solo pallone in gioco. A fare le spese di tanta esuberanza furono in particolare le ossa degli altri giocatori e una signora che abitava nei dintorni del campo, che ebbe una vetrata distrutta da due peroni fatti volare via da Riccardo con un tackle su un avversario che si accingeva a battere un calcio di rigore. Impressionante fu anche la sua padronanza della marcatura a uomo: infatti non si staccò mai dal centravanti avversario, anche perché se lo avesse fatto sarebbe crollato al suolo.
Nereo Rocco, nelle rare pause tra un bicchiere e l'altro, non poté fare a meno di redigere un rapporto favorevole sul giovane Riccardo, che venne quindi scelto al posto del fratello che accompagnava, come d'altronde accade a tutte le finaliste di Miss Italia. Il Paron stesso gli telefonò per congratularsi e dirgli di presentarsi in sede per un secondo provino ma, riavutosi dalla sbornia, gli diede l'indirizzo di Appiano Gentile, raccomandandogli di dire che lo mandava Helenio Herrera e sperando, se non di rifilarlo all'Inter, di mandarlo a distruggere qualcuno dei loro campioni in erba.
Al primo appuntamento con i nerazzurri, tuttavia, non solo esibì ancora una volta la qualità[citazione necessaria] che gli era valsa l'attenzione di Nereo Rocco, ma si superò quando, dopo aver rubato palla all'attaccante avversario con un contrasto perfetto, scattò rapidissimo e spedì una bordata imprendibile all'incrocio dei pali della propria porta. Gli emissari dell'Inter presenti, visto ciò, non ebbero più dubbi e si affrettarono a metterlo sotto contratto, sia per evitare di farsi sfuggire un altro potenziale campione com'era appena accaduto con Franco Baresi e Marco Amelia, sia perché confidavano che col tempo sarebbero riusciti ad insegnargli la capacità di orientarsi, che fino ad allora gli aveva fatto difetto non solo in campo, se si considera che impiegava normalmente dalle due alle cinque ore per completare il tragitto dalla sua camera al cesso. Fu così che ebbero inizio la carriera di Ferri e la tradizione nerazzurra di tesserare qualunque pippa transitasse da Appiano Gentile.
Esordio da professionista
In breve tempo, Riccardo fu in grado non solo di ritagliarsi un posto da titolare nelle giovanili dell'Inter, ma addirittura di reggersi in piedi, grazie all'aiuto di una ferrea forza di volontà, di una preparazione fisica e tecnica all'avanguardia e di un allenatore psicolabile. Gli anni trascorsi nel campionato Primavera si rivelarono essenziali per Riccardo, che conquistò tre tornei di Viareggio e 10.000 lire al gratta e vinci in una formazione che annoverava una generazione di futuri campioni del calibro di Walter Zenga, Giuseppe Bergomi e Ricardo Quaresma.
Gli addetti ai lavori erano concordi nel ritenere che un vivaio così florido non potesse che condurre l'Inter verso un lungo ciclo di vittorie, e la storia dimostrò che sarebbe andata esattamente così, se solo al Milan non fosse arrivato Berlusconi a collezionare campioni a suon di miliardi, la Juventus fosse stata distrutta da Calciopoli vent'anni prima, Maradona avesse preferito al Napoli l'offerta dello Skonto Riga, la Sampdoria fosse fallita e l'Avellino avesse accettato di vendere ai nerazzurri Geronimo Barbadillo in cambio di Rummenigge.
Tra quelli che furono maggiormente colpiti dall'abilità[citazione necessaria] del giovane Ferri ci fu Eugenio Bersellini, l'allenatore dell'Inter di allora, una squadra che veniva da anni di scarsa competitività, in parte a causa del dominio della Juventus che poteva schierare l'ossatura della Nazionale e in parte perché all'epoca vigeva il blocco delle frontiere, che obbligava l'Inter a tesserare unicamente giocatori italiani che altrimenti avrebbero visto la serie A solo su 90° minuto. Bersellini era uno dei tecnici più in voga del momento, sia per la disciplina sia per le sue tattiche rivoluzionarie: era infatti soprannominato il Sergente di ferro, per via del suo piglio autoritario e dei capi d'abbigliamento che indossava abitualmente, talmente borchiati che al confronto Rob Halford sembrava un monaco buddhista.
Era inoltre opera sua la sperimentazione di un nuovo schieramento che, contro ogni pronostico, aveva portato l'Inter a trionfare nel campionato 1979-80. Tale strategia permetteva di unire la versatilità una linea arretrata di quattro uomini, ideale per attuare il fuorigioco e per giocare a tresette, con la solidità data dal classico assetto con due marcatori fissi sulle punte avversarie e dall'ultimo difensore, cui Bersellini vietava inderogabilmente di allontanarsi dall'area di rigore e che nei suoi schemi definiva libero, da gran buontempone qual era. In pratica quell'Inter giocava[citazione necessaria] con sette difensori che avevano licenza di superare la metà campo solo per raggiungere gli spogliatoi, un mediano spezzatibie come Gabriele Oriali più Evaristo Beccalossi e Spillo Altobelli, che avevano il compito d'imbastire un'azione d'attacco le due o tre volte a partita che capitavano nei dintorni della palla.
L'esordio in serie A avvenne il 31 aprile 1982, ma già da diverso tempo il giovane Ferri era stato aggregato alla rosa della prima squadra da Bersellini, che vedeva in lui il prototipo del difensore ideale: un marcatore asfissiante e un uomo squadra sempre pronto a tenere in piedi il gruppo grazie al suo carisma e all'assenza di panche in spogliatoio. Era anche andato vicino al debutto il 1 aprile, quando gli fu annunciata la convocazione per il derby: Ferri trascorse tutta la gara in panchina senza tuttavia far mancare il proprio incitamento ai compagni che, impegnati in trasferta ad Ascoli Piceno, ancora se la ridevano per il pesce.
Tuttavia, in occasione di un Inter-Catanzaro di Coppa Italia, Bersellini decise di farlo debuttare tra i professionisti, sia per dimostrargli la sua fiducia sia perché Bergomi era squalificato, Beppe Baresi era infortunato, Oriali era andato a fare la spesa al mercato e Burgnich, ormai ritiratosi da una ventina d'anni ma che inizialmente aveva dato la sua disponibilità, si tirò indietro quando seppe che allo stesso orario della partita in TV davano l'A-Team.
L'incontro si concluse sul 2-2 per l'Inter. Ferri, ancorché in gran forma fin dalle prime battute di gioco, provocò un calcio di rigore con una trattenuta durante un'azione convulsa. A nulla valsero i suoi tentativi di discolparsi accusando l'avversario di aver simulato: l'arbitro non ebbe esitazioni nell'indicare il dischetto dopo aver visto che all'attaccante avversario mancano diversi brandelli di pelle.
Gli anni da sedicente calciatore
Dalla stagione successiva Ferri diventa un punto fermo della difesa dell'Inter e dell'attacco delle formazioni che l'affrontano, affermandosi velocemente come uno dei mastini più spietati del campionato, capace di togliere il sonno sia agli avversari sia ai medici, sovente costretti a notti in bianco per ricucire gli arti delle sue vittime.
Parallelamente però i rapporti tra Ferri e Zenga, amici fin dalle giovanili, iniziano a deteriorarsi: il portierone nerazzurro infatti veniva spesso messo in difficoltà dalla scarsa precisione dei passaggi all'indietro del compagno, complice anche il fatto che Zenga ignorava che la regola sul retropassaggio sarebbe stata introdotta solo dieci anni dopo. Le incomprensioni tra i due davano luogo ad autoreti talmente ricorrenti che in breve tempo i due soppiantarono i Carabinieri come soggetto delle barzellette.
Le solide prestazioni in nerazzurro permettono tuttavia a Ferri di conquistare una maglia da titolare in Nazionale maggiore, in seguito alla rivoluzione seguita al disastroso mondiale del 1986 in Messico, che aveva portato ad uno sconvolgimento in seno alla federazione sia nei quadri tecnici sia in quelli dell'ufficio di Matarrese. Al posto di Enzo Bearzot viene scelto come CT Azeglio Vicini, secondo i cui dettami una formazione vincente non poteva prescindere dalla presenza di un leader difensivo forte e deciso, non importava se coi piedi di marmo e incapace di distinguere un pallone da uno scaldabagno. E se per il primo requisito nessuno sembrava più indicato di Franco Baresi, per gli altri due Ferri sbaraglia la concorrenza, mantenendo la maglia azzurra fino al mondiale di Italia '90, prima di perderla poi in seguito al trasferimento in una ridimensionata Sampdoria e allo scarso feeling con i nuovi scarpini, identici a quelli di Maradona, che però portava il 38 mentre Ferri era solito calzare un paio di catamarani.
Negli anni successivi il nostro ha modo di togliere diverse soddisfazioni a sé stesso e all'Inter e consistenti quantità di tessuto osseo agli avversari affrontati. La sua collezione privata, che include migliaia di tibie, femori, arcate dentali e sistemi ruttatori provenienti dai campi di tutta Europa, è seconda per numero di reperti solo al museo paleontologico di Cosenza.
In questo periodo affina inoltre la sua inimitabile tecnica nei tackle scivolati: detiene tuttora il record di entrata in ritardo, davanti a Paolo Montero e al treno Cisalpino, stabilito nel 1987 contro la Roma quando, dopo essersi visto anticipare da Rudi Völler, lo stese due giorni dopo quando se lo trovò davanti in fila alle poste.
Tuttavia, l'arrivo degli anni '90 è foriero di numerose rivoluzioni: si dissolve l'Unione Sovietica, crolla la Prima Repubblica e Fiorello spazza via ogni residuo di musica sopravvissuta al tremendo decennio precedente. Il vento del cambiamento non poteva ovviamente lasciare immune il mondo del calcio, sempre pronto a recepire le novità portate dall'avanzare dei tempi e della demenza di Blatter.
In seguito ai ripetuti successi mietuti dal favoloso Milan di Arrigo Sacchi, si assiste infatti ad una diffusione sempre più capillare del gioco proposto dal vater di Fusignano, fatto di pressing alto e assenza di qualunque barlume di tecnica individuale. Numerosi allenatori provano quindi ad imitare le sue redditizie tattiche ma, poiché a differenza del tecnico rossonero nessun altro poteva disporre di gente del livello di Ruud Gullit, Marco Van Basten e Ibrahim Ba, nella maggior parte dei casi l'esito di questi sciagurati esperimenti consisteva in un tale coacervo di corse a vuoto e mischie a centrocampo che sugli spalti erano ormai diventati consuetudine gli scioperi dei bulbi oculari.
Ferri si trovò da subito a disagio con i nuovi moduli, che prevedevano la difesa a zona, obbligando quindi i difensori a non seguire più lo stesso uomo per tutto l'incontro e talvolta anche sotto la doccia, bensì a prendersi cura di chiunque si trovasse nella propria area di competenza. Riccardo, bontà sua, che in tutti quegli anni non aveva mai imparato a riconoscere nemmeno la faccia di Zenga, non riuscì mai ad adattarsi a situazioni di gioco che imponevano di ricordare anche quattro o cinque facce diverse a partita, nonostante intense sessioni specifiche d'allenamento sia sul campo sia a Indovina chi?, e dopo alcune stagioni trascorse tra panchina e tribuna a rifornire di caffè lo staff tecnico e un candeggio sbagliato si ritirò.
I 10 momenti fondamentali della vita calcistica di Ferri
Italia-Egitto, Olimpiadi di Los Angeles 1984
L'Italia giunge ai Giochi da favorita per la conquista della medaglia d'oro, dopo aver ottenuto il biglietto per la California grazie ad un convincente cammino culminato col boicottaggio da parte della nazionale della Germania Est. I convocati, tuttavia, accolgono con malcelato imbarazzo la notizia dell'avvenuto ripescaggio, in parte perché avrebbero preferito guadagnarsi la qualificazione sul campo e in parte perché li obbliga ad annullare le vacanze per andarsi a giocare in pieno luglio un torneo sentito e atteso quanto un'apparizione televisiva di Giorgio Mastrota.
Il disinteresse della formazione azzurra è tale che per il primo incontro dell'avventura olimpica, contro la compagine egiziana che dal canto suo è arrivata a Los Angeles semplicemente sbagliando aereo, i giocatori scendono in campo in bermuda e infradito e al posto dell'inno di Mameli intontano "Vamos a la playa" dei Righeira. L'atmosfera è resa ancora più surreale dalla presenza di un pubblico del tutto profano di calcio e a sua volta così poco coinvolto che gli organizzatori, per incrementare le presenze sugli spalti, avevano scritto sui manifesti Torneo rionale di backgammon.
Di questa spedizione, che si concluderà con un'eliminazione in semifinale contro l'inarrestabile formazione della Danimacchia, il solo a trarre beneficio è Ferri, che diventa in breve un beniamino delle folle californiane, che salutano ogni palla calciata in tribuna con un'ovazione e il grido "HOME RUN!".
Inter-Torino, serie A 1985-86
In un'azione di calcio d'angolo in area granata si verifica un terribile scontro a tre tra Altobelli, Giacomo Ferri e Riccardo, che si trovava da quelle parti per visitare almeno una volta nella vita l'area avversaria. Spillo cade rovinosamente, travolto subito dopo dai due fratelli. Ripresosi a fatica dallo scontro, non appena viene a sapere che deve operarsi per tornare a giocare, Altobelli pur di non finire di nuovo sotto i Ferri annuncia il ritiro.
Malta-Italia, qualificazioni agli Europei di calcio 1988
All'esordio in Nazionale maggiore Ferri va subito a segno, deviando un cross con un intervento mirato alle vertebre cervicali del portiere.
Inter-Turun Palloseura, Coppa UEFA 1987-88
Ferri, che gode della stima incondizionata di Ernesto Pellegrini, presidente interista di allora, scommette con il compagno Aldo Serena di riuscire a convincere il patron ad acquistare uno dei dilettanti della squadra finlandese.
Grazie al fattivo apporto dei compagni di squadra, che mal sopportavano l'arroganza, la puzza di piedi e la sorella cozza di Serena, gli ospiti espugnano San Siro per 1-0, grazie ad una straordinaria prodezza di un certo Mika Aaltonen il quale dribbla difesa, panchina e pullman sociale dei nerazzurri prima di superare Zenga con un rasoterra che s'insacca a fil di traversa. L'indomani, un estasiato Pellegrini stacca un assegno in bianco al Turun e ingaggia l'autore della rete, costringendo così Serena ad onorare il debito e trascorrere le tre notti seguenti vestito da squaw pellerossa sul piazzale antistante lo stadio.
Il buon Aaltonen, dal canto suo, arriva l'estate successiva all'Inter, che, convinta di aver trovato un potenziale campione giocatore bipede, lo gira prontamente in prestito al Bologna, che lo gira a sua volta alla Cavese, che lo gira e lo rispedisce in Finlandia a bastonate sulla schiena.
Inter-Napoli, serie A 1988-89
Battendo per 2-1 Careca e compagni, l'Inter si laurea campione d'Italia. Al fischio finale, complice lo champagne stappato con abbondanza in spogliatoio e la consapevolezza che non avrebbe più avuto un'opportunità del genere finché fosse rimasto in nerazzurro, tra i più esagitati c'è proprio Ferri che, approfittando dell'invasione di campo, si reca nel parcheggio dello stadio e prende possesso di un'Alfetta della polizia, sgommando tra i tifosi in delirio e lasciando dietro di sé l'acre odore della frizione, bruciata dalle tante scale salite e dal freno a mano mai disinserito.
Piomba quindi in tribuna stampa, dove semina il panico scorrazzando tra i giornalisti e mostrando loro le chiappe, tra le quali fa capolino una copia della Gazzetta dello Sport. Non pago, scende negli spogliatoi del Milan, sfasciandoli a colpi di cric e tackle scivolati, prima di riunirsi ai compagni, divellere la panchina e lanciarla alla folla festante, insieme al Trap che vi è ancora seduto sopra.
Un mese più tardi, quando i sostenitori del Milan si radunano a San Siro per festeggiare la conquista della Coppa dei Campioni, trovano Ferri ancora ad esultare sul terreno di gioco, mentre corre a perdifiato in mutande brandendo un lavandino.
Italia-Argentina, mondiali di calcio Italia '90
Nella semifinale del mondiale casalingo l'Italia, pur passata in vantaggio con un gol di Totò Schillaci, viene messa a lungo alle corde da un Maradona ispiratissimo, i cui geniali assist sono però sistematicamente sprecati da un Caniggia ben controllato da Bergomi e da un Ferri che non riesce a bucare Zenga nonostante ripetuti tentativi. Tuttavia, all'ennesimo cross che mette lo stopper azzurro in condizioni di battere indisturbato verso di lui, il portiere azzurro esce per sferrargli un pugno ma buca completamente sia l'intervento che il pallone, regalando ai sudamericani il pareggio. L'epilogo dell'incontro è amarissimo per l'Italia, eliminata ai rigori davanti al proprio pubblico: l'Uomo Ragno suo malgrado non riesce a parare nessuno dei tiri dal dischetto degli argentini, che calciano in tutte e quattro le occasioni alla sua destra mentre lui si tuffa sempre all'indietro.
Inter-Aston Villa, Coppa UEFA 1990-91
L'Inter arriva alla sfida di ritorno degli ottavi di finale con il morale sotto i tacchi: sconfitta 2-0 all'andata in Inghilterra, attardata in campionato di 10 punti dal Cesena dopo 3 giornate ed estromessa al primo turno in coppa Italia dal Pescara, la formazione arriva ad un crocevia fondamentale della stagione con le spalle al muro e un Trapattoni che non sembra affatto curarsi della criticità del momento, per la fiducia che ripone nei propri uomini e perché per la stagione successiva si è già accordato con la Juventus.
A complicare ulteriormente la situazione arriva al 3' l'infortunio a Klinsmann, che si procura uno stiramento al naso dopo essere stato atterrato platealmente in area. I nerazzurri protestano vibratamente con l'arbitro che però respinge perentoriamente le loro rimostranze, mentre l'autore del fallo infierisce sull'attaccante tedesco sghignazzandogli in faccia e disegnandogli un pene sulla guancia con un pennarello.
Ferri, però, che non era andato a lamentarsi poiché, non sapendo le lingue straniere, non era in grado di comunicare con il direttore di gara bergamasco, assiste alla scena e si porta sull'avversario con una scivolata che svelle l'intera porzione di terreno tra i due, riducendolo in poltiglia col solo spostamento d'aria, dopodiché lo impala con la bandierina del calcio d'angolo e ricompone il terreno seppellendovi il disgraziato. Gli spettatori, esaltati dallo spettacolo, creano una bolgia, spingendo l'Inter a ribaltare il risultato e superare il turno.
Dati i fruttuosi esiti, i compagni convincono Ferri a ripetere prima di ogni partita il tackle scaramantico, con risultati contrastanti: l'Inter imprime sì una svolta alla stagione, andando a vincere la coppa UEFA, ma alla lunga l'usanza porta conseguenze nefaste per il manto erboso del Meazza, che per l'intera stagione seguente viene sostituito da una superficie in asfalto.
Juventus-Inter, Coppa Italia 1991-92
Una gara che giunge nel mezzo di una stagione travagliata per l'Inter, che stentava ad adattarsi al cambio di allenatore. Durante l'estate infatti la guida tecnica era passata nelle mani di Corrado Orrico, al cui ingaggio gli addetti ai lavori reagirono con uno strisciante scetticismo, dovuto a molteplici ragioni:
- era un volto così sconosciuto al grande pubblico che, quando giunse per la prima volta ad Appiano Gentile, Lothar Matthäus gli firmò un autografo con dedica chiedendogli:
- gli incarichi più prestigiosi che figuravano sul suo curriculum vitae erano quelli di allenatore della Lucchese, di giardiniere della Salernitana e di accanito consumatore della Fiorentina;
- era un integralista del gioco a zona, il che lo rendeva inviso a una rosa di giocatori che di zona non digeriva neppure quella a traffico limitato;
- per abituare i centrocampisti al pressing a tutto campo li faceva allenare in una gabbia, salvo poi perderne sempre le chiavi, che metteva in tasca ignaro del suo vezzo di dirigere gli allenamenti in mutande;
- era scontroso, inflessibile, comunista, italiano e figlio unico, nonché molto presuntuoso: si autodefiniva infatti "la risposta interista ad Arrigo Sacchi", che però ai nerazzurri aveva chiesto solo se avevano da accendere.
Le fosche premesse non tardano purtroppo a concretizzarsi: l'Inter arranca fin da subito in campionato ed esce al primo turno in coppa contro il Benfica, pur passando immediatamente in vantaggio sia in casa che in trasferta, con un doppio 4-0. L'unico obiettivo rimane ben presto la coppa Italia, dove però i nerazzurri sono subito opposti ai bianconeri.
Dopo il pareggio dell'andata, la gara di ritorno a Torino vede Ferri espulso per un fallo su Roberto Baggio durante il sorteggio del campo e si conclude con l'eliminazione dell'Inter e l'esonero di mister Orrico, che proseguirà la propria carriera allenando la nazionale di calcio delle Samoa Americane su Hattrick.
Cremonese-Sampdoria, serie A 1994-95
Zenga esordisce in maglia blucerchiata, in seguito all'operazione che lo ha portato a Genova in cambio di Gianluca Pagliuca. Poche ore prima dell'inizio della partita, anche Ferri è ceduto ai doriani come contropartita di metà del cartellino di Vujadin Boskov, il 14,7% di Attilio Lombardo, una lavatrice a propulsione atomica, aglio, olio e peperoncino. Quando i due si trovano in spogliatoio, Zenga tenta di suicidarsi scivolando su una saponetta. Ferri rincuora subito il compagno di mille battaglie con queste parole:
dopodiché si esibisce a sua volta nel numero, stavolta con successo, riportando la frattura scomposta dell'omero e dello stomaco.
Sampdoria-Lazio, serie A 1995-96
È il giorno dell'addio al calcio, col sollievo di quest'ultimo. Dopo il giro d'onore, in cui raccoglie gli applausi della tribuna, gli sputi della curva e i cavolfiori sul disastrato prato di Marassi, gli viene consegnato un premio speciale da parte dell'Associazione Ortopedica Italiana per aver contribuito nel corso della sua carriera ad aumentare di dieci volte il fatturato dei suoi associati. Riccardo si congeda alzando il riconoscimento, una targa placcata in stronzio con una rotula incastonata, e lanciandolo in segno di gratitudine verso Zenga. Imparabilmente, ça va sans dire.
Dopo il ritiro
La decisione di appendere le scarpe al chiodo lascia immediatamente un vuoto nel mondo del calcio e numerosi lividi sulle mani di Ferri, che non amava particolarmente il fai da te, un po' perché ne aveva la stessa familiarità di Elton John con la figa e un po' perché aveva sempre voluto evitare con ogni cura di guadagnarsi da vivere con un lavoro manuale, com'era invece toccato ai nonni minatori e a Zenga.
Riccardo decide dunque di prendersi un anno sabbatico, ma è costretto rapidamente a rivedere i propri propositi quando, pochi giorni più tardi, si vede privare di gran parte del denaro guadagnato in carriera in seguito alla perdita della causa di divorzio con il suo cane. Non rimane tuttavia a lungo con le mani in mano, né con i piedi in piedi: passa qualche tempo invece con le ginocchia in ginocchio, dato che con la mancanza di allenamento i problemi di equilibrio tornarono a farsi sentire. Rimboccandosi le maniche della canottiera, intraprende infatti con successo un nuovo percorso professionale come rappresentante di energia elettrica: numerose casalinghe e aziende decidono di affidargli le proprie forniture, convinte dai due secchi di corrente che si porta sempre appresso.
L'esperienza di vendita e una sensibilità comunicativa non più ridotta a grugniti e gomitate gli permettono di diventare un volto televisivo spendibile anche al di fuori del Pippero di Mai dire gol. Diventa infatti testimonial di una ditta di pulizie in franchising, che opera inviando al cliente, in cambio di una modica quota associativa, detersivo e spazzolone corredati da un breve manuale intitolato "E adesso arrangiatevi".
Le ripetute presenze in video portano più recentemente Ferri a guadagnarsi frequenti apparizioni come ospite a Controcampo e Diretta stadio, caratterizzandosi come uno degli analisti più apprezzati sia per le sue acute disamine tattiche sia perché non manca mai di portare al resto dello studio numeri di telefono di massaggiatrici ucraine.
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