Sagra

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(Un tizio mentre è trascinato alla fiera di paese del momento)


Fin dall’alba dei tempi, l’uomo ha sempre sentito il bisogno di rendersi squallido e degradarsi. È un po’ come l’istinto a riprodursi: non puoi resistergli. La differenza sta nel fatto che mentre l’accoppiamento è divertente, la degradazione mentale e sociale solleva molti dubbi in merito. Per dare libero sfogo al suo istinto auto-distruttivo, l’uomo (inteso come parola che abbraccia la donna) ha creato una manifestazione di massa, in cui più individui possono dare sfogo al proprio istinto, auto-umiliandosi collettivamente: la sagra paesana.

Un gruppo di anime in pena cerca la sua strada in mezzo a un'orda di decerebrati.


L’utenza

La domanda sorge spontanea: vista la bella introduzione, chi mai oserebbe mettere piede in tanto squallore, correndo il rischio di venirne contaminato?

Fidatevi: ci vanno, ci vanno.

Ci sono mandrie di ragazzotti ottusi che berciano senza sosta da un angolo all'altro della fiera e attorno agli stand degli espositori, auto-umiliandosi prorompendo in risate sguaiate che comunicano al mondo intero la pochezza della loro intelligenza e i limiti invalicabili a cui è sottoposta la loro materia grigia.

Come controparte, ci sono le solite ragazze-stampo: ergo, ragazzette con la testa vuota delle cose giuste e piena di quelle sbagliate, di una stupidità che rasenta il ridicolo e con una disarmante mancanza di senso critico.

Inoltre si trovano, sparsi a macchie di leopardo, piccoli gruppetti di 4 o 5 vecchi a testa, che se ne stanno ritti in piedi a parlare, fieri dentro se stessi di star partecipando a una manifestazione di paese, come se il farsi vedere a presenziare a tale insulso evento possa essere motivo d'orgoglio e di vanto nei giorni a seguire.

Camminando per la fiera, non si può fare a meno di calpestare qualche sudicio marmocchio imbizzarrito, totalmente privo di controllo, e lasciato dai genitori a briglia sciolta a bazzicare per la fiera.


La sezione culturale

In ogni manifestazione che si rispetti, a qualunque livello territoriale, ci deve essere anche qualcosa per chi ha più di due neuroni che fanno contatto a ogni luna nuova: così, ecco spuntare magicamente dal nulla la “Librotenda” (interessante parallelo con la “disco tenda”).

All'occhio non attento potrà sembrare un'insolita e piacevole incursione della cultura nel regno della Grettezza e dell'Ignoranza, ma basta dare un'occhiata più peculiare per realizzare cosa in realtà sia successo: gli organizzatori hanno voluto dare un tocco di cultura alla manifestazione, palesando però la loro ignoranza equina posizionando i libri in ordine sparso. Incredibile ma vero: i libri non sono divisi né per temi, né per argomento, né per autori: sono sparsi sui tavoli come si usa fare col fieno, denunciando quindi una probabile origine bifolca del titolare dell’iniziativa.

Un'orgia di cultura.


La disco tenda

La fiera di paese (parlando in generale di tutte le manifestazioni a livello meramente comunale) non può reggersi solo sui vecchi: infatti, i vecchi hanno pochi soldi e, come succede in tali casi, spendono poco dato che la loro pensione va per la maggior parte in medicine e cazzate da vecchi.
Come al solito, “i giovani sono il futuro”, ma quale categoria di giovani? Semplice: tutti coloro che non sono intelligenti a sufficienza per non andare a forza “dove la massa porta”!
Onde attirare il più possibile di tale marmaglia all’evento, gli organizzatori, senza il minimo ritegno, tirano letteralmente su una tenda senza pareti, ci ficcano una pavimentazione nera da balera, ci piazzano un Dj a basso costo (gli organizzatori di tali eventi sono maestri nell’arte del “tiro al risparmio”) e, al ritmo della musica truzza e più “in” del momento, attirano i giovinastri come letteralmente “il letame attrae le mosche”.

La disco tenda è quanto di più deprimente possa esserci: è la più alta espressione del provincialismo di tali eventi. Il perimetro della tenda è tappezzato di cartelloni di sponsor, e ciò fa sorgere il dilemma su chi mai presterebbe il proprio logo e la propria immagine per associarla a una manifestazione sciatta e tirata via come quella.
Al suo interno, orde di gusci umani si agitano al ritmo delle canzoni più "in" dell'estate, cercando di attirare, coi movimenti impacciati simili a quelli di un orango, i rappresentanti del sesso opposto (o anche dello stesso sesso: le perversioni non mancano) che sono accampati in cerchio attorno a quel monumento al cattivo gusto.

Musica, maestro!

Ok, la musica l’avevamo già messa: ovviamente, se si ha lo stomaco e la presenza di spirito di definire “musica” quella che passano in quelle orrende balere senza pareti dove la gente si agita come scimpanzé ebbri col ballo di San Vito.

Ma per chi non ha tanta forza d’animo da definire “musica” l’accozzaglia di flatulenze elettroniche a ritmo emesse dalle casse della discotenda, gli organizzatori hanno creato uno spazio dove poter riempire le orecchie con qualcosa che non sia né il “rumore a tempo” della discotenda né il berciare fuori luogo e fine a sé stesso dell’utenza dovuto all’ingestione di un’eroica quantità di alcolici. Ed ecco quindi, a beneficio dei cultori dell’armonia & della melodia, lo stand musicale: generalmente, il tutto si traduce in un palco in legno di acero tarlato, fronteggiato da un reggimento ordinato di sedie modello “Economia nel terzo mondo” dell’IKEA. Gli organizzatori più lungimiranti sono soliti porre anche due o tre pannelli di parquet nero da balera sul cemento, in modo che chi non resista agli impulsi irrefrenabili del ritmo possa scatenarsi ed esporsi al pubblico ludibrio, aumentando così il numero delle attrazioni dell’evento casereccio.

Chi sale sul palco? La gamma è ampia:

  • il Classico dei Classici è l’immortale orchestra di liscio. Ve ne sono un numero stimato sopra le 400.000 unità, ma la musica che suonano gira attorno agli stessi accordi come un amante rifiutato;
  • i gruppi “folk” o i gruppi “punk” composti da membri dall’età massima di 17 anni (anagrafici o mentali a piacere);
  • i gruppi di quarantenni consumati che, cercando di sembrare ancora giovani nonostante l’incedere implacabile del tempo e delle responsabilità, offrono al pubblico culturalmente sottoalimentato delle “cover” di canzoni italiane di trenta e passa anni or sono, cercando di generare un effetto di “immortali nel tempo” (cosa che forse si può dire delle canzoni ma non, grazie al cielo, delle band che le torturano).


I padiglioni degli espositori

Ed eccoci alla crème della crème della manifestazione paesana: infatti, ben sapendo la quantità irragionevole di persone che tali eventi sono soliti attirare, le aziende approfittano biecamente della triste situazione per cercare di tirare su qualche cliente in più.

Gli stand degli espositori sono, ovviamente, sempre gli stessi in tutte le fiere: c’è l’immancabile stand del concessionario di automobili, con attorno mandrie di squattrinati che si producono in commenti da sapienti del motore, osservando le auto con uno sguardo che nasconde una sottile vena di follia e frustrazione, ben sapendo che tali meraviglie a quattro ruote sono ben oltre le loro tragiche possibilità, come un leone affamato e privo di tutti e quattro gli arti potrebbe fissare una gazzella dalle cosce sovrasviluppate.

Altro stand d’obbligo è quello che pubblicizza un marchingegno che produce acqua frizzante o naturale a temperatura zero assoluto, ottima per le calure estive ma pessima per l’intestino irritabile. Rinomato in tutte le fiere per essere un luogo dove potersi dissetare a costo zero.

Descrivere minuziosamente gli altri stand sarebbe faticoso quanto superfluo:

  • chi vende materassi che garantiscono una vita al sicuro dal mal di schiena;
  • chi vende articoli da giardino di lusso (che cerca inutilmente di attirare il potenziale cliente posizionando strategicamente dell’erba sintetica sull’intera area dello stand);
  • chi vende marmitte, intercooler, e altre idiozie che sono il pane quotidiano di chi ha fatto del cattivo gusto il proprio animale-guida;
  • chi vende ciondoli, anelli, bracciali, e altre puttanate a forma di drago, valchiria, teschio o spada a beneficio di chi è solito appesantirsi il corpo con etti ed etti di metallo in eccesso con lo scopo di correre più lentamente, attirare più facilmente i dardi di Zeus, o creare file di nevrastenici al check-in dell’aeroporto.

Uno stand si segnala per la sua attività: l’immancabile tombolata per anziani. Popolata esclusivamente da esseri umani in via di smantellamento, tale stand è a volte talmente grande da meritarsi con orgoglio mezzo padiglione tutto per sé. L’ingresso ai giovani è, ovviamente, inibito, non da norme scritte, ma da norme di consuetudine che nessuno vìola per istinto di conservazione. I premi in palio a tali tombolate, manco a dirlo, sono di una pochezza che stordisce, e spesso sembrano beni trafugati dal magazzino della Caritas Diocesana. Il prezzo di una cartella, considerate le probabilità di vincere e il prezzo di mercato dei premi, sarebbe un furto anche se fosse negativo, cioè se la gente fosse pagata per prenderne una.

E le “chicche”?

Quanti genitori si sono sentiti rivolgere questa affermazione dai loro pargoli, con tanto di tono supplicante e sguardo afflitto? Potevano quindi gli organizzatori dell’evento rimanere insensibili a un tale grido di aiuto? A soddisfazione di dentisti e gastro-enterologi, ecco quindi apparire gli stand delle “robe dolci” (vulg.). Trattasi di stand dove, con il beneplacito del comune, rozzi e corpulenti omaccioni spacciano zuccheri dannosi ai minorenni. Di “chicche” ve n’è una varietà incredibile: ovetti alla coque, squali, coccodrillini, orsetti gommosi, bottigliette di coca-cola, escrementi bianchi e rosa morbidi come la schiuma del mare (consistenza e sapore analoghi), “intestini” di liquirizia lunghi almeno un metro e venti, “labbra” rosse gommose, dentiere da vampiro in polistirolo espanso commestibili, e le immancabili “mentine”, per la cui durezza i produttori pagano ogni anno i diritti alla DeBeers.

Ecco i grotteschi commercianti che contemplano beati la loro merce marcia, con in tasca la convenzione stipulata con gli odontotecnici.


Augh!

Sì, augh! Da qualche anno a questa parte, in ogni manifestazione che si rispetti devono esserci almeno due bancarelle di peruviani che vendono oggetti tribali al pubblico ignorante. Queste bancarelle potrebbero essere considerate un vero e proprio melting pot culturale: indiani del Nord America, Messicani, Maya, Aztechi, Incas, indigeni Sudamericani, tutti raggruppati e mescolati in un’unica bancarella! Da segnalarsi la musica trasmessa, contrabbandata come musica indigena: la sua natura è ben diversa, trattasi infatti di pezzi musicali famosi riarrangiati con strumenti etnici acquistabili presso la stessa bancarella. Tali, di solito, sono le bancarelle preferite dagli hippie, dai naturalisti, e dagli adoratori di divinità celtiche dimenticate da secoli.

La bancarella tratta anche articoli quali:

  • teli da spiaggia con immagini di lupi e facce di capi indiani morti da almeno due secoli;
  • “acchiappasogni” di varie forme e dimensioni (trattasi di cerchi di legno con una retina tessuta all’interno; si presume tengano lontani gli incubi);
  • impastiere per tossici (spiegazione ufficiale: “sono portaoggetti!”);
  • cd di musica “tribale” (vedi sopra);
  • chincaglieria varia, cioè braccialetti, collanine, anelli, orecchini a forma di aquila, lupo, freccia, cuore, pesce; prezzo di costo al grossista: 2€/quintale; prezzo di vendita al pubblico: 5€/cad.


I comizi politici

Eh già. Se la manifestazione paesana ha un suo colore (verde, rosso o anche nero) è probabile che, in qualche meandro della fiera, si trovi l’immancabile stand politico: ergo una tenda dove, fronteggiato da un pubblico in coma, un politico generalmente di basso rango (assessore comunale o vice bidello della Regione) si libera delle frustrazioni della giornata tuonando contro l’operato dell’opposizione.

Tale tenda, all'esterno, è tappezzata di manifesti tutti uguali. Ciò che uccide moralmente chi guarda tale spettacolo non è però il concetto stesso dei manifesti (le idee politiche possono essere condivise o meno), quanto la disposizione degli stessi: attaccati uno di fianco all'altro, come carta da regalo, come se gli attacchini siano stati colti da una crisi di horror vacui. L'effetto che dà tale arazzo di manifesti è di trovarsi tra gente che non possiede alcun senso della misura: il tanto criticato cattivo gusto degli americani si presenta lì, a testimoniare che l'assenza di buon gusto non è la prerogativa di un solo popolo.

All'interno della tenda si tengono comizi, o qualcosa di simile: a parte i casi sporadici in cui si presenta un personaggio noto, il podio è quasi sempre presieduto da un membro del consiglio comunale o provinciale, che farnetica idiozie prive di riscontro a un pubblico inerte che pende dalle sue labbra. I discorsi sono di quanto più pomposo, prolisso e vuoto si possa immaginare: eppure la gente ascolta, o almeno dà segno di ascoltare. Semplicemente osservando i grugni del pubblico, infatti, si capisce subito qual è la situazione: l'auditorium è composto prevalentemente da vecchi, che trovano nell'ascoltare comizi politici l'illusione di servire ancora a qualcosa.

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