Strage di Gioia Tauro
Con Strage di Gioia Tauro si indica comunemente la conseguenza del procurato deragliamento al treno direttissimo Palermo-Torino (detto Treno del Sole) del 22 luglio del 1970, avvenuto a poche centinaia di metri dalla stazione di Gioia Tauro.
Il treno trasportava circa 200 persone, due gatti nel trasportino, tre cani legati dietro e un iguana abilmente mascherato da criceto. In una carrozza c'era un gruppo di 50 pellegrini diretti a
Lourdes, tutti illesi.
Il bilancio finale della tragedia fu di 6 morti e più di 60 feriti, di cui molti in gravissime condizioni. Tutti i deceduti si trovavano tra la nona e l'undicesima carrozza.
La compagnia assicurativa delle ferrovie dovette risarcire molte persone per le mutilazioni subite, anche se quasi tutti erano quei "furboni" dei pellegrini, ed erano già
così. Dell'iguana si persero le tracce, si vocifera che sia finito nelle fogne ed ora misuri circa 16 metri.
All'inizio la causa non venne accertata, nella relazione del Giudice istruttore del tribunale di Palmi si legge:
- attentato dinamitardo (28%)
- cedimento dei binari per dilatazione termica (21%)
- furto del rame da parte di "ignoti" (16%)
- scontro con mezzo pesante (un Apecar) in transito sui binari ((12%)
- testacoda riuscito in parte (9%)
- tentativo di "inchino" andato a puttane (8%)
- manovra eseguita a cazzo (4%)
- manovra eseguita a minchia (2%)
Dopo qualche anno, fu accertato l'uso di una bomba e furono individuati gli esecutori materiali.
Il clima di quei giorni: i Fatti di Reggio
Nell'estate del 1970 la parte meridionale della regione era in balia della rivolta di Reggio Calabria, causata dalla nomina di Catanzaro a capoluogo di regione.
La rabbia di molti cittadini di Reggio sfociò nella proclamazione dello sciopero cittadino il 13 luglio. La rivolta era coordinata da un "comitato d'azione" che raccoglieva esponenti del Movimento Sociale Italiano, del Partito della Suppizzata e di Avanguardia Zafarani Cruschi, a cui si unirono alcune frange estreme dei portuali di Villa San Giovanni.
Il
15 luglio si arrivò all'occupazione della stazione, alla creazione di barricate e scontri con la polizia per le strade della città. In un clima da guerra civile gli agenti fecero ricorso ai lacrimogeni, per tutta risposta furono bersagliati da un fitto lancio di pasta 'ncasciàta, curcùci, patate 'mpacchiuse e pìpi chìni.
Ovviamente, tutto il bailamme era orchestrato nell'ombra dalla 'ndrangheta che, per il fatto contestato, vedeva sfumare grasse occasioni di guadagno. Da un'inchiesta della procura di Reggio Calabria, conclusasi nel 1994, emergono relazioni tra Stefano Delle Chiaie (fondatore di Avanguardia Nazionale), i servizi segreti, le logge massoniche e la mafia calabrese (in affari col Rotary Club). Alcuni membri delle 'ndrine sarebbero stati coinvolti nel cosiddetto Golpe Borghese. Il pentito Giacomo Lauro parla di un incontro nell'estate del 1970 tra i capibastone dei De Stefano, Junio Valerio Borghese e la CIA[1]. Da tutto questo resta fuori la lobby ebraica, ma solo perché (nel momento in cui si scrive l'articolo) ricorre il Giorno della memoria, e non sarebbe delicato.
Secondo il rapporto della procura, è riconducibile alla 'ndrangheta e alla Destra eversiva anche l'attentato al treno che deragliò il 22 luglio, nonché l'estinzione del muflone della Sila e la miracolosa gravidanza inattesa della moglie del Sindaco di Cosenza.
La strage
Quel giorno maledetto qualcuno annusò l'odore della tragedia, i segni erano chiari: il treno aveva traghettato alle 14:35 in perfetto orario a Villa S.Giovanni, non c'era nessun sciopero del personale delle ferrovie né dei traghetti, i dipendenti di terra non erano in agitazione, non c'era il corteo dei portuali e nemmeno il sit-in degli animalisti, insomma era andata troppo liscia.
Gli esperti pellegrini recitavano il mea culpa a gran
voce; un notaio salito a Messina aveva improvvisato un ufficio nella carrozza 4 e, tra donazioni e testamenti, riuscì a mettere assieme la dote per sua figlia Addolorata.
Alle 17.10 il treno stava entrando in stazione a circa 100 km/h quando il macchinista Giovanni Billardi e l'aiuto macchinista Antonio Romeo avvertirono un forte sobbalzo della locomotiva,
conseguentemente, azionarono il freno rapido di emergenza. Il convoglio prese a rallentare comprimendosi, durante l'improvvisa decelerazione i respingenti delle carrozze assorbirono la maggior parte delle sollecitazioni, Santa Rosalia si fece carico della maggior parte delle bestemmie.
La frenata avvenne regolarmente per le prime cinque carrozze, poi uno dei carrelli della sesta carrozza finì fuori della sede dei binari, alcuni ganci di trazione si spezzarono e il convoglio si divise in tre tronconi, che proseguirono in totale disaccordo.
All'arrivo dei soccorsi il convoglio si presentava così:
- la locomotiva e le prime cinque carrozze erano ferme sul binario a soli 30 metri dalla stazione, gli occupanti fecero un rogo con i sedili e immolarono una vergine a Pape Satàn per lo scampato pericolo;
- sesta, settima e ottava avevano sviato completamente rimanendo però erette, i passeggeri sacrificarono uno dei gatti a Papà Castoro;
- la nona si era staccata dal convoglio, si era girata parzialmente e, dopo un carpiato, era andata a cadere a cavallo del terzo e quarto binario, fortunatamente vuoti al momento... i binari, invece gli scompartimenti erano pieni di gente, purtroppo;
- la decima carrozza si era ribaltata sulla massicciata;
- l'undicesima carrozza era riuscita a rimanere stabile e rallentare il resto del convoglio;
- dalla dodicesima alla diciassettesima il convoglio era uscito dai binari;
- la diciottesima carrozza se n'era andata per i cazzi suoi, si agganciò furtivamente ad un treno merci che andava in Spagna e non se ne seppe più nulla.
La prima inchiesta giudiziaria
Nonostante dalla ferrovia risultassero mancanti 1,8 metri di binario e nei mesi precedenti si fossero verificati attentati con dinamiche simili, inizialmente si parlò di un guasto meccanico o un errore umano. Il questore Santillo identificò le cause del deragliamento con:
Paolo Scopelliti, allora sostituto procuratore della Repubblica di Palmi, mise sotto torchio l'infame bullone per tre giorni, ma non ottenne una confessione. Quattro dipendenti delle Ferrovie vennero comunque inquisiti per varie negligenze, che avrebbero portato la locomotiva ad urtare contro qualcosa lasciato sul binario (una chiave inglese, un Apecar, un barbone...), per tutti le gravi accuse di disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Per non tralasciare comunque le altre piste, furono incaricati alcuni periti di effettuare un esame e redigere un rapporto. I periti, essendo tali, ovviamente non si presentarono, si ripiegò allora sul parere di alcuni esperti, tra cui:
- ing. Armando Colombo, Ottorino Zerilli e ing. Giovanni Nocera (tecnici delle Ferrovie dello Stato),
- Renato Piccoli ed il comandante Eugenio Cannata (ufficiali dei Vigili del Fuoco),
- Madame Soraya (sensitiva del circo Alvaro Togni),
- Fortunato Musico e Arturo Polese (dell'Università di Napoli),
- I fratelli Aldo e Venceslao Bottaforte (esperti in esplosivi ittici, botti illegali e demolizioni edili).
Il collegio dei tecnici consegnò la relazione il 7 luglio 1971 (quasi un anno dopo), era uscita la versione da tavolo di Rischiatutto (il popolare gioco televisivo condotto da Mike Bongiorno) e, quando si riunivano, ci passavano sopra un mucchio di tempo. La perizia escluse che la causa dell'incidente potesse essere attribuita a errori umani o fattori tecnici. Nel rapporto emergevano le analogie con tre attentati verificatisi sulla stessa linea il 22 e 27 settembre e il 10 ottobre del 1970: anche in quei casi, l'esplosivo aveva divelto circa due metri di binario, trovato in seguito su una spiaggia di Tropea.
Il 30 maggio 1974 il giudice istruttore scagionò i dipendenti delle ferrovie, precedentemente accusati, con la decisione di "non c'entravano una minchia". L'inchiesta si chiuse lasciando l'attentato dinamitardo come ipotesi più probabile, ma non stabiliva l'apertura di un fascicolo a carico di ignoti per capire chi ne fosse responsabile. Era come dire:
La riapertura del caso
A partire dal 16 giugno 1993 due pentiti della 'Ndrangheta cominciarono a deporre le proprie testimonianze. Stando alle loro affermazioni, nel 1970 in Calabria si erano formate alleanze strategiche tra criminalità organizzata, eversione nera e Rettiliani. I due pentiti erano Giacomo Ubaldo Lauro e Carmine Dominici.
La deposizione di Lauro: gli esecutori
- Lauro ammise di avere avuto rapporti con Vito Silverini, un fascista esaltato ed analfabeta, vicino ai vertici del "Comitato d'Azione" che stava infiammando i moti di Reggio. Silverini era mal sopportato, non sapeva leggere e questo lo costringeva a ricordare tutto a memoria. Un giorno, invece di far saltare in aria un magistrato che abitava in Via delle ginestre 15, polverizzò il cognato di Antonio Nirta (capobastone della 'ndrina dei Nirta La Maggiore di San Luca), residente in Via delle mimose 13. Ebbe salva la vita solo perché il Nirta comprese l'increscioso equivoco sui nomi dei fiori (e comunque suo cognato gli stava sulle palle);
- Lauro conobbe il Silverini nel carcere reggino, condivisero la cella numero 10 e alcune notti di rovente passione;
- Durante le "coccole" Silverini gli aveva confessato di possedere una somma, presso la Banca Nazionale del Lavoro, pagatagli dal "Comitato" proprio per la bomba di Gioia Tauro;
- Silverini aveva portato dinamite da miniera sul luogo, insieme a Giovanni Moro e Vincenzo Caracciolo, nascondendola sull'Ape Piaggio[c'era davvero!!!] di quest'ultimo, e l'aveva posizionata con un innesco a miccia a lenta combustione, talmente lenta che doveva scoppiare il giorno prima col notturno per Milano delle 23:50;
- Silverini si vantò con Lauro di essere sul posto al momento dell'esplosione, di aver atteso l'arrivo del questore Santillo e di di avergli sputato (a spregio) dietro la schiena di nascosto.
Giacomo Ubaldo Lauro in un interrogatorio dell'11 novembre 1994 confessò invece di aver avuto parte nella vicenda, e di essere stato lui stesso a consegnare l'esplosivo a Silverini, Moro e Caracciolo. In cambio aveva ricevuto dal "Comitato" alcuni milioni di lire e un panda gigante imbalsamato.
La conferma di Dominici: i mandanti
La testimonianza di Lauro venne confermata il 30 novembre 1993 da Carmine Dominici, esponente di punta di Avanguardia Nazionale a Reggio Calabria fra il 1967 ed il 1976, nonché uomo di fiducia del marchese Felice Genoese Zerbi che ne era il dirigente massimo. Il Dominici doveva scontare una pena detentiva di 14 cicli Tzolkin, 8 lustri e ventordici clessidre. Si trovò anche lui nella cella 10, assieme a Lauro e Silverini. Realizzato che sarebbe uscito di galera "con i piedi avanti", o comunque dopo la terza reincarnazione, si decise a collaborare.
Dalle deposizioni appariva chiaro il quadro dei mandanti, tra questi vi erano:
- Ciccio Franco, il senatore Renato Meduri e Angelo Calafiore, tutti missini, come ispiratori della rivolta;
- Benito Sembianza e Felice Genoese Zerbi, dirigenti del "comitato d'azione", come "stronzi che hanno dato il via";
- l'imprenditore Amedeo "quello dei traghetti" e il commendatore Mauro "quello del caffè", come finanziatori delle azioni criminali;
- Marcello Dell'Utri e Giulio Andreotti, nel caso non si vada a dama con i precedenti (che tanto non sbagli comunque).
L'istruttoria si concluse però col totale proscioglimento di tutti gli imputati, dopo un'intensa campagna denigratoria nei confronti dei "magistrati di sinistra".
La sentenza in Assise
Con la riapertura del processo, nel febbraio 2001, la Corte d'Assise di Palmi emise una sentenza di condanna per gli esecutori della strage, compiuta con esplosivo. I colpevoli erano però già deceduti[cazzo!]. All'atto della chiusura del processo per la strage, nel gennaio 2006, l'unica condanna emessa nei confronti di uno dei coinvolti ancora vivente[evvai!] fu quella di "concorso anomalo in omicidio plurimo" a carico di Lauro: il reato però era estinto per prescrizione[fanculo!].
Fatti che "non pareva", ma invece...
- La morte degli "anarchici della baracca". Cinque ragazzi persero la vita, in un misterioso incidente stradale, nella notte del 26 settembre 1970, mentre erano in viaggio verso Roma, per consegnare materiale di denuncia riguardante i fatti della rivolta di Reggio Calabria e ricollegabili alla strage, sulla quale avevano indagato. Si ipotizza che i cinque fossero in realtà seguiti da polizia e servizi segreti. Tempo prima erano infatti stati ascoltati dal giudice Vittorio Occorsio per la strage di piazza Fontana, nell'ambito delle prime indagini sui circoli anarchici.
- Ancora più strana fu, inoltre, il giorno prima della loro partenza, una telefonata ricevuta dal padre di uno dei ragazzi (Lo Celso) da parte di un amico che lavorava alla polizia politica di Roma che lo ammoniva: "È meglio che non faccia partire suo figlio".
- Pacata la reazione del signor Lo Celso "È meglio che mi gratto le palle, brutto menagramo!!"
- Il giorno dell'attentato Franco Giuseppucci (detto Er Fornaretto) stava pescando telline a Ostia, per molti fu un alibi costruito ad arte, tuttavia confermato dall'agente Z del SID[ah beh, allora...].
Bibliografia
- Venceslao Bottaforte, Sim Sala Bum! (Quando con gli esplosivi si facevano magie), Catanzaro 1978, Ed. Riina
- Francesco Cossiga, Le so tutte!, Sassari 1983, Ed. Gladio
Voci correlate
Note
- ^ non è che voglio mettercela per forza, quando si farà l'articolo sul Golpe Borghese sarà spiegato chiaramente