Trilussa

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Trilussa autoritrattosi nel tentativo di assomigliare a Clark Gable.
« Se io magno due polli e te nessuno, statisticamente ne avemo magnato uno per uno. »
(Trilussa spiega la statistica ad un suo amico, mentre sono all'osteria.)
« Vedemo se ho capito: er conto lo paghi da solo e statisticamente avemo pagato "alla romana". Giusto? »
(L'amico di Trilussa che non porta certo l'anello al naso.)

Carlo Alberto Salustri, (Roma, 26 ottobre 1871 - Roma, 21 dicembre 1950), più conosciuto con lo pseudonimo di Trilussa (anagramma del cognome) è stato un poeta italiano, noto per le sue composizioni in dialetto romanesco. Contrariamente agli scritti di Giuseppe Gioachino Belli, comprensibili solo da chi può vantare un proprio avo a scuola con Marco Antonio, i sonetti di Trilussa si evolvono in un linguaggio molto vicino all'itagliano, rendendo superfluo il pedigree "romano de roma" di almeno nove generazioni.

Trilussa ha commentato circa cinquant'anni di cronaca romana e italiana, per sua fortuna la metà interessante del XX secolo. Si è trovato infatti a vivere l'età giolittiana, gli anni del fascismo e quelli del dopoguerra. La corruzione dei politici, il fanatismo dei gerarchi, gli intrallazzi dei potenti sono alcuni dei suoi bersagli preferiti. A seguire, mezzo secolo di Democrazia Cristiana, sempre le stesse facce, le stesse gobbe, che due palle!

Biografia

Il monumento a Trilussa in origine era alto nove metri e largo ventordici, interamente rivestito di marmo e alabastro. Nel dopoguerra c'era però da ricostruire tutta Trastevere, quindi...

Suo padre Vincenzo era originario di Albano Laziale, città che lo rende automaticamente antipatico per due motivi: ha il nome di un cantante-viticoltore che strilla come un ossesso e, come se non bastasse, è pure della Lazio. Sua madre Carlotta era invece bolognese, sapeva preparare dei formidabili tortellini al ragù e inoltre, era maestra nella seconda arte riconosciuta alle donne di quella terra: il brodo.

Rimasto orfano del padre a tre anni, Trilussa trascorse un'infanzia nella miseria. Era talmente povero che quando la madre lo portava al mare, con la sabbia costruiva case popolari al posto dei castelli. Forse sarà stato per hobby, magari per non pensare alla fame, iniziò a scrivere poesie in romanesco. La situazione divenne ben presto insostenibile, un giorno alcuni passerotti, mossi a pietà, gli portarono delle briciole di pane sul davanzale, era davvero troppo. Lasciò la scuola per cercare un lavoro, erano tempi in cui un poeta serviva come un brufolo sul culo, ma le sue doti non sfuggirono all'attento Amedeo Sgrugnapolli, direttore del periodico satirico Don Chisciotte, che lo prese come factotum.

« Albè, vamme a pijà una ciriola co' sarciccia e cicoria dalla sora Vanda. »
(Tipica mansione del factotum secondo lo Sgrugnapolli.)

L'intraprendente giovanotto lasciò però un suo sonetto sul tavolo dell'arcigno principale, un gesto che non passò inosservato, il giorno dopo fu cacciato a pedate. A dirla tutta, lo Sgrugnapolli era ignorante come un tombino di ghisa, chi mandava avanti la baracca era il suo vice Zuccottini, che riconobbe in Trilussa un discreto potenziale e gli preparò una lettera di referenze.

Roma, li (o comunque nei pressi) 21 ottobre 1887

Il latore della presente è persona degna di stima e fiducia. Più volte ho personalmente appurato la sua profonda onestà, l'impegno indefesso nei compiti assegnatigli e la considerevole determinazione nel conseguire gli obiettivi.
È inoltre: elegante nel vestire, di buona educazione e molto alto; riesce a sillabare correttamente "subacqueo", imita perfettamente un bonobo, ha un bel paio di baffi, è di fisico asciutto e sa contare fino a parecchio; è anche un abile amatore (almeno così dice mia moglie), un fine sommelier, grande intenditore di cibi etnici, ottimo giardiniere e conoscitore esperto di funghi.
Pertanto, lo raccomando vivamente alla sua attenzione.

Ah sì, sa anche scrivere.

Rocco Zuccottini - Vice direttore del Don Chisciotte


Tutto questo, per sole 350 lire (gli ultimi due stipendi).
La lettera gli aprì comunque le porte dei giornali importanti, scrisse per Capitan Fracassa, Il Messaggero ed Il Resto del Carlino. I suoi necrologi erano vera poesia, purtroppo l'imperante ignoranza, e il timore del "nuovo", li rese poco apprezzati dai parenti.

Alcuni scatti che ben illustrano il poeta.
1: Il Trilussa che "al bar offre sempre lui".
2: Il Trilussa "pronto a tendere la mano".
3: Il Trilussa che "manca poco si strozza con una Big Babol".
4: Il Trilussa "pedala te che m'è tornata la sciatica".
5: Il Trilussa "finisco 'sto pornazzo e vengo a cena".
« È morto Alvaro Zinna detto Clemente. Se invece d'esse matto,
fosse rimasto scemo solamente, chi sa che nome se sarebbe fatto! »
(Necrologio in parte attribuibile al Trilussa, Roma 1891.)

Tra il 1895 e il 1927, le sue opere lo resero un personaggio popolarissimo, ma durante la sua vita fu sempre assillato da problemi economici, perché era uno scialacquatore di fama planetaria. Al suo confronto, Paris Hilton può essere definita "di braccino corto". Durante il Ventennio, pur facendo satira politica, i suoi rapporti con il regime furono sempre sereni, tranne quando un tizio che somigliava a Charlot visitò l'Italia nel 1938.

« Roma de travertino, rifatta de cartone,
saluta l'imbianchino, suo prossimo padrone. »
(Trilussa che scherza col fuoco.)

Il crucco la prese davvero male. Il Minculpop[1] non fece in tempo a bruciare la scheda di Trilussa, due scagnozzi della Gestapo arrivarono in poco tempo e scoprirono la sua vera identità, indirizzo compreso. Nella mezz'oretta che separa il quartiere EUR dai Castelli Romani, Trilussa (avvisato telefonicamente da un amico) si tagliò i baffi, imparò a parlare il sardo e finse al loro arrivo di essere la governante. Gli esperti poliziotti erano tuttavia sospettosi, l'irsuto pelame che fuoriusciva dalle calze era tipico delle donne dell'isola ma, per fugare ogni dubbio, gli chiesero di preparare il casu marzu. Il poeta, che era anche un fine buongustaio, conosceva bene quella prelibatezza e come andava preparata, quindi gli disse: "a parte voi non ci sono altri vermi in casa, non posso accontentarvi". In alternativa, gli somministrò una grappa prodotta da un suo amico spacciandola per filu 'e ferru. Di norma la usava per alimentare il suo trattore Super Landini del '34, sugli impreparati omuncoli ebbe un effetto dirompente: iniziarono entrambi a citare la Torah in ebraico e, in un cieco impulso antisemita, si spararono a vicenda.

Finita la guerra, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi nominò Trilussa senatore a vita, era il 1º dicembre 1950, esattamente venti giorni prima che morisse. Il poeta, da tempo malato e certo della fine imminente, pare avesse commentato:

« Brutti stronzi! M'hanno nominato senatore a morte! »
(Trilussa sui riconoscimenti tardivi.)

La poetica

Come abbiamo visto, Trilussa trascorse la vita in condizioni abbastanza miserevoli. Il vissuto quotidiano non poté non imprimere segni indelebili sull'artista e sulla sua poetica, che si palesa particolarmente pregna di praticità e materialismo, affatto avvezza al vuoto sentimentalismo romantico fine a se stesso[sega mentale necessaria]. Insomma, si parla di panze vuote e panze piene, di polli arrosto, di gruzzoli nascosti, di cicale che si offrono alla persona giusta e campano meglio della formica che si fa un mazzo così in cambio di emolumenti che a malapena garantiscono la sussistenza.
Eppure, dal materialismo traspare una fanciullesca felicità. Trilussa sa coglierla da quadretti essenziali ed agresti, come rifacendosi al Virgilio delle Georgiche, solo con un erotismo meno sfumato:

La vispa Teresa è una composizione con sottili sfumature erotiche, secondo i bene informati ha dato spunto all'autore del film: "Cicciolina e le sue bestie".
« C'è un'ape che se posa su un bottone di rosa:

lo succhia e se ne va... Tutto sommato,

la felicità è una piccola cosa. »
(Trilussa, Felicità.)

Trilussa dimostra di saper fare il verso ai suoi colleghi con "La vispa Teresa", continuazione della filastrocca per bambini "La farfalletta", scritta tempo prima da Luigi Sailer, oscuro insegnante polentone. Trilussa racconta di una Teresa che, divenuta adulta, si diverte alla grande offrendola, come Bocca di Rosa, in modalità 3X2 al popolo che giustamente gradisce. Poi diventa vecchia, isterica e tabagista e nessuno più se la caga, nemmeno lo stesso Trilussa:

« Per circa sei lustri

fu cara a parecchi:
fra giovani e vecchi,
fra oscuri ed illustri,
la vispa Teresa
fu presa e ripresa.
Contenta e giuliva
s’offriva e soffriva
(la donna che s’offre,
se apostrofa l’esse,
ha tutto interesse

a dire che soffre). »

La satira esplode ad ogni verso, amara e pungente come uno Jägermeister on the rocks. In effetti lo scopo di Trilussa non è fare satira scrivendo poesie, ma l'esatto contrario. Scrivere poesie per mezzo della satira è forse una via un po' contorta per raggiungere lo scopo, ma è anche possibile che l'interpretazione critica di tale tecnica sia fuorviata da argomentazioni del cazzo che vengono imposte ancora oggi dall'interpretazionismo di regime. Comunque la si rigiri, le tematiche affrontate da Trilussa conducono a tracciare un quadro fedelissimo del modus cogitandi dell'essere umano, che in ogni tempo e in ogni luogo è un tirchiaccio inguaribile:

« Ho conosciuto un vecchio

ricco, ma avaro: avaro a un punto tale
che guarda li quatrini ne lo specchio
pe' vede raddoppiato er capitale.

Allora dice: "Quelli li do via
perché ce faccio la beneficenza;
ma questi me li tengo pe' prudenza..."

E li ripone ne la scrivania. »
(Trilussa, Avarizzia.)

Altro aspetto caratteristico della poetica di Trilussa sono gli animali: umanizzati alla moda di Esopo per fini artistici, creano situazioni simpatiche e divertenti. Almeno finché si resta in ambito puramente animalesco. Se si prova a trasporre le situazioni nella vita reale, rabbia e sconforto possono prendere il sopravvento, allorché ci si renda conto di quali infamie possano macchiarsi i nostri consimili, capaci addirittura di negarti mezzo pollo:

« Io che conosco bene l'idee tue, so' certo che quer pollo che te magni,

se vengo giù, sarà diviso in due: mezzo a te, mezzo a me... Semo compagni.
No, no (rispose er Gatto senza core) io non divido gnente co' nessuno:

fo er socialista quanno sto a diggiuno, ma quanno magno so' conservatore. »
(Trilussa, Er compagno scompagno.)

Curiosità

Roma, ore 20. La movida inizia e piazza Trilussa prende vita.
Roma, ore 06. La movida finisce e piazza Trilussa ha preso una vita.
  • Trilussa fu un grande poeta romanesco, ma era apprezzato ovunque. Infatti, tutte le città hanno almeno una via o una piazza un palo della luce dedicato a lui. Ovviamente Roma lo celebra con una piazza, Bergamo invece con un cesso dei bagni pubblici.
  • Fu padrino di battesimo del giornalista e radiocronista sportivo Sandro Ciotti, in quella occasione scrisse probabilmente il sonetto: Er Rospo e la Gallina.
  • È morto il 21 dicembre, lo stesso giorno di Giuseppe Gioachino Belli, Giovanni Boccaccio e un cospicuo numero di altri letterati di varie nazionalità. Gli scrittori di tutto il mondo celebrano quella data come: "il giorno della grattata di palle".
  • Giovanni Paolo I ha recitato una sua poesia, La Fede, durante un'udienza del suo breve pontificato nel 1978. Su consiglio del cardinal Aughentäler, scartò proprio in ultimo la sua preferita: L'isterica e la puttana.
  • Le sue ultime parole pare siano state: "Mò[2] me ne vado".
  • Era alto quasi due metri, misura inconsueta per l'epoca. Fu sepolto in due bare.
  • Parlando con un suo amico, notoriamente avaro e che non si offriva mai di pagare al bar, amava definirlo: "c'ha le saccocce a ciammaruca"[3].

Note

  1. ^ Non è una parolaccia ma significava Ministero della Cultura Popolare.
  2. ^ Adesso.
  3. ^ Ha le tasche a forma di chiocciola, quindi che rendono difficile raggiungere il denaro.

Voci correlate